sabato 22 novembre 2008

La mission culturale per una nuova forza di sinistra

Il progetto di una nuova costituente per la sinistra si colloca in una fase emergenziale, conseguente all’esito disastroso delle ultime elezioni che hanno relegato – per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale – la sinistra comunista fuori dal Parlamento.
Inevitabile, dunque, nel patrimonio genetico di una nuova forza di sinistra, la riflessione profonda sulle regioni di una sconfitta storica, esito di un progressivo scollamento dalle forze sociali, dalla cittadinanza, dai luoghi di vita e lavoro. Soprattutto, dai luoghi del disagio.
Tuttavia, la disfatta dell’Arcobaleno è soltanto la punta di un iceberg, la parte visibile di una ferita apertasi nel 1989. Idealmente, è dai cocci del muro che si deve ricominciare a costruire.
Ciò di cui abbiamo bisogno è una sinistra con un progetto politico e culturale riconoscibile, non asservito agli umori del ceto medio o alle malinconie di irriducibili rivoluzionari.
Una sinistra in grado di proporsi attivamente nel dibattito culturale, di fronteggiare il pensiero unico e proporre una diversa e più scientifica lettura delle dinamiche sociali.
Una sinistra in grado di stare tra le persone, di crescere partendo dal basso, di rappresentare il disagio delle fasce più deboli di popolazione.
Nuova deve essere l’energia, la voglia di essere motore propulsore delle dinamiche di cambiamento, nuovo il desiderio di protagonismo politico e sociale.
Nuove devono essere le modalità di incontro con la cittadinanza, la qualità dell’impegno e della comunicazione.
Nuovi dovrebbero essere i volti, i nomi.
Nuove le parole d’ordine e, forse, i simboli.
Ciò che non deve cambiare, invece, è ciò che rende tale una forza di sinistra: le istanze progressiste, la matrice culturale, l’orizzonte etico, la scelta operativa.
Personalmente, individuo nel lessico utilizzato a suo tempo da Pizzorno, ovvero la dicotomia concettuale di “inclusione/esclusione”, la bussola ideale per l’orizzonte etico di una nuova sinistra.
Sinistra è inclusione, estensione della cittadinanza, partecipazione, articolo 3 della nostra Costituzione, universalità dei diritti, dignità sociale.
La storia della sinistra è soprattutto rivoluzione culturale; non quella di Mao, bensì quella del “rovesciamento” dei paradigmi. Quella che ha insegnato agli operai che non dovevano ringraziare i padroni per il fatto di lavorare.
Il coraggio, dunque, di un pensiero di rottura, che non asseconda gli umori dell’elettorato ma – se necessario – lo traumatizza.
Rovesciare i paradigmi culturali dominanti orientati all’esclusione sociale: questa deve essere la mission culturale di una nuova sinistra.
Prendiamo l’esempio delle “classi ponte”, la proposta leghista di separare i percorsi scolastici dei bambini extracomunitari da quelli italiani, fino all’acquisizione di un livello di conoscenza della lingua italiana tale da rendere possibile l’integrazione scolastica (traduzione: tale da non far perdere tempo ai nostri ragazzi).
Non ci siamo risparmiati nel contestare in ogni modo questo irricevibile e goffo tentativo di far passare una scelta di esclusione sociale per un tentativo di favorire l’integrazione degli studenti extracomunitari. Si è più volte ribadito come sia l’integrazione a favorire la conoscenza della lingua e non il contrario; come una scelta del genere sul lungo periodo produrrebbe antagonismo sociale e dunque maggiore insicurezza ecc…
Tuttavia, una forza di sinistra deve avere il coraggio di capovolgere radicalmente il punto di vista, in un’ottica decisa di inclusione sociale: anche i nostri ragazzi, in verità, hanno bisogno di imparare a integrarsi con gli immigrati. Le classi ponte rappresentano una discriminazione nei confronti degli extracomunitari, ma anche la privazione di un’opportunità di crescita intellettuale e morale per i nostri figli.
Non c’è nulla di scandaloso in questo concetto, è un’ottica di inclusione sociale, crescita morale, ciò che dovrebbe essere patrimonio irrinunciabile di una forza di sinistra.
Ovviamente, non sfugge la complessità delle dinamiche sociali, in particolare per quanto riguarda i fenomeni migratori. Il pensiero critico deve dunque svilupparsi su un duplice binario: da un lato, l’aggressione ai paradigmi culturali dell’intolleranza e dell’esclusione sociale; dall’altro, il confronto – non più procrastinabile – con i tabù della sinistra.
E’ necessario mostrare la possibilità di un modo diverso di pensare e osservare gli eventi e le dinamiche sociali, attraverso la pratica costante e l’assiduo lavoro di aggressione al pensiero unico.
Quante volte abbiamo ascoltato genitori preoccupati perché il proprio figlio è vittima di atti di bullismo. Ma quante poche volte abbiamo sentito genitori preoccupati perché il proprio figlio è un bullo!
E’ nelle piccole dinamiche sociali che si annida il germe patogeno dell’intolleranza, dell’indifferenza ai valori morali.
Quanto avvenuto il mese di maggio a Ponticelli - il pogrom, l’attacco incendiario, il saccheggio di un campo nomadi, ma soprattutto la disarmante solidarietà popolare con i carnefici anziché con le vittime di un’aggressione barbarica - non è il semplice risultato di una vergognosa campagna mediatica (che pure c’è stata), ma l’esito di un lungo processo in cui la cultura dell’esclusione sociale ha trovato tempo e modo di sedimentarsi, conquistare uno spazio e una dignità sociale.
A un punto tale, che oggi è possibile che un politico possa permettersi di parlare (anzi scrivere…e scripta manent!) – sempre a proposito delle classi ponte - di discriminazione transitoria positiva a favore dei minori immigrati.
E questo processo si è svolto sotto la spinta dei gutturali slogan della destra più becera, trovando solo la debole resistenza di una sinistra balbettante.
Una rinascita culturale, dunque. Che non è l’oziosa attività politica degli intellettuali, ma forza di rinnovamento, di cambiamento.
Sarebbe sufficiente valutare l’impatto, la forza trainante del lavoro di Roberto Saviano.
Luciano Canfora, nell’opera Critica della Retorica Democratica, scrive:

E’ il ceto intellettuale quello che fa funzionare i centri nevralgici del mondo egemone. E’ quel ceto che va conquistato alla critica. Urge una nuova critica dell’economia che spieghi ai ceti decisivi del primo mondo che sono anch’essi degli sfruttati. E che lo sono in primo luogo in quello che è da considerarsi il massimo dei beni: l’intelligenza. E’ dal cuore del sistema che verrà la nuova crisi: in un tempo lunghissimo e dopo una lunga ricerca. Non è importante esserci, è importante saperlo.

E’ dunque prioritario per una nuova forza di sinistra, produrre e contribuire a diffondere una cultura dell’inclusione sociale. “Cultura” nel senso più ampio, comprensivo di pensiero e prassi. Una cultura dell’intervento, della presenza, che si esprima attraverso l’azione sul territorio, il sostegno alle fasce più deboli della popolazione, in grado di radicarsi dove sembra non poter crescere nulla.
Tempo fa un mio collega, Nicola Albanese, faceva notare come nell’uso comune sia stato distorto il significato del termine “esclusivo”, stravolgendone la semantica al punto da attribuirgli una valenza positiva. Un locale esclusivo, ad esempio, è un locale di livello, frequentato soltanto dalla “gente migliore.
Noi pretendiamo, al contrario, di proporre e difendere una cultura dell’inclusione.
Noi vogliamo il rovesciamento delle categorie culturali dominanti: non ci importa niente – ma proprio niente! – di quanto impieghi il primo arrivato a tagliare il traguardo. A noi interessa in quanti riescono a raggiungerlo.

venerdì 21 novembre 2008

Sit-In Educatori Penitenziari

Allego la mia personalissima ricostruzione del Sit-In tenutosi il 13-11-2008 davanti a Camera dei Deputati e Senato, al fine di evidenziare la paradossale situazione dei 397 educatori penitenziari vincitori di un concorso bandito nel 2003.
Per ulteriori dettagli, visitare il sito: http://www.educatoripenitenziari.it/index.php

Sit In

Il 13 novembre 2008, il comitato “I Nuovi Educatori Penitenziari” realizza un sit-in di protesta davanti a Camera dei Deputati e Senato.
La causa è sacrosanta: siamo vincitori e idonei di un concorso bandito nel 2003, conclusosi soltanto nel giugno del corrente anno, e senza ancora nessuna certezza sui tempi di assunzione.
Si parla di essere chiamati “a scaglioni”, parte nel 2009 e parte nel 2010.
Insomma, nella migliore delle ipotesi, il conto complessivo sarà di 7 anni di attesa. Qualcuno deve aver rotto uno specchio…
Il comitato si è costituito poichè si è ritenuto che anche un anno in più possa fare la differenza; e poi – diciamolo pure – perché sulla scadenza del 2010 neanche metteremmo la mano sul fuoco…
Prosaicamente, qualcuno di noi fa riferimento ad una Legge di Murphy: “Se qualcosa può andar male, lo farà”.
E poi, questi benedetti fondi per assumerci ci sono. C’è la cassa delle ammende. Potremmo usare quelli, e poi tornare a riempirla con i fondi delle nostre assunzioni quando arriveranno (tanto al massimo si tratta del 2010, giusto?).
E allora…si va!
La mia giornata parte benissimo. Neanche esco di casa che vengo travolto da un’onda anomala e raggiungo la stazione centrale assieme ad un cumulo di detriti. Impresentabile, salgo sul treno ansioso di raggiungere i miei futuri colleghi.
A Roma, invece, splende il sole. Decido quindi di raggiungere a piedi Piazza Montecitorio, trotterellando allegramente per le vie del centro. Quando raggiungo il sit-in, riconosco subito la mia amica Laura. Provo a farle un gesto di saluto sollevando il braccio, ma è un attimo…il cielo si rannuvola, un tuono rompe il silenzio, la pioggia scroscia violentemente…devo averlo rotto io, quel famoso specchio, nel 2003. Ad ogni modo, abbasso rapidamente il braccio prima di essere accusato di aver comandato la pioggia.
Il sit-in è stato organizzato benissimo. C’è il gazebo con il materiale informativo, cartelli, striscioni, volantini, palloncini per attirare l’attenzione, la cassa delle ammende…; saluto Federico, venuto giù da Torino, e finalmente conosco di persona la nostra Presidentessa. Lina mi saluta con una stretta di mano vigorosa, mi riassume rapidamente quanto avvenuto fino a quel momento, con gli occhi che fanno scintille e promettono battaglia. Soprattutto, promettono e mantengono.
Finalmente incontro Marianna, Viviana, e altre persone che fino a qualche ora prima conoscevo soltanto come nick. E poi ci sono i mariti e fidanzati…venuti a dare man forte, a sostenere la battaglia.
Non siamo numerosi, ma non siamo per niente male.
C’è anche qualcuno che fa parte di un altro gruppo, quello che generosamente definiamo “l’altro comitato”. Viene recando seco un ramoscello d’ulivo, parla dell’importanza del nostro sit-in, del fatto che dovremmo essere tutti uniti, che l’unione fa la forza…tutto condivisibile. Che il ramoscello sia autentico o no, lo accettiamo: noi non abbiamo nulla da nascondere, e ben venga – sempre – chi condivide ciò che facciamo e vuole offrire un contributo.
Vuol dire che, nella città dei Figli della Lupa, accoglieremo un Figlio del Leopardo.
Il sit-in si svolge come una prova di resistenza: la pioggia comincia ad infliggere i primi danni al morale dei futuri educatori. Federico si arma di megafono e sfida intemperie e deputati, restituendo il sorriso e la forza a tutto il gruppo.
Arriva l’Onorevole Di Pietro. Anche lui sfida la pioggia armato di un miserrimo ombrellino.
Di Pietro parla e ascolta, circondato da un gruppo di educatori che quasi lo soffoca. Non tanto per lui, quanto per trovare riparo sotto il gazebo. L’onorevole fa un bagno di folla, chi è rimasto dietro un bagno e basta.
L’onorevole si trattiene a lungo assieme a noi, e promette di portare la questione in Parlamento. Ci invita a non demordere. Poi guarda la nostra Presidentessa e capisce che si tratta di una raccomandazione inutile.
Poco dopo, mentre io e il marito di Lina veniamo brutalmente buttati fuori da alcuni portoni in cui abbiamo cercato rifugio, arriva anche la Senatrice Baio.
Il pomeriggio, i superstiti si trasferiscono di fronte al senato. Una spesa rapida per mangiare qualcosa, un the per riscaldare le ossa, ed eccoci di nuovo in piena forma.
Ingaggio una lotta personale con il mio sigaro: zuppo d’acqua, non vuol saperne di accendersi. Ma non me la prendo: i medici mi hanno assicurato che respirare l’aria di Roma equivale a fumarsi un paio di sigari.
Veniamo a sapere dell’intervento della Baio, della solidarietà di Schifani…le notizie che porta Antonio mettono di buonumore.
Nessuno si aspettava di arrivare lì, e tornare a casa con il contratto di assunzione. Abbiamo in ogni caso ottenuto molto. Le cose si conquistano un passo alla volta, e questo è stato indiscutibilmente un passo avanti.
Ci salutiamo contenti di esserci stati, di esserci conosciuti e di esserci bagnati assieme…un onore!
Anche perché, come direbbe Federico:”siamo bagnati…non dei conigli bagnati!”

giovedì 20 novembre 2008

Isteria politica

Ricordo bene le critiche impietose mosse all'impianto della Legge Gozzini, accusata di essere troppo elastica, distante dalle esigenze di sicurezza dei cittadini.
Ricordo bene anche gli strali contro l'indulto.
Ora, il Ministro Alfano propone di evitare del tutto il carcere, agli incensurati, per i reati per cui è prevista la reclusione fino a 4 anni.
Altro che Gozzini...altro che indulto!
Si può anche discutere nel merito questa proposta (che prevede lavori socialmente utili e messa alla prova e che, ad occhio e croce, riterrei accettabile per reati fino a due anni di condanna).
Quello che mi interessa evidenziare, tuttavia, è come - al di là degli slogan da caserma - quella carceraria sia una questione esplosiva che non può assolutamente essere risolta sparando idiozie. Con le idiozie si può arrivare al governo, non governare.
E poi...carcere per i clandestini...carcere per i clienti delle prostitute...carcere per chi butta per strada rifiuti ingombranti...ma niente carcere per reati fino a quattro anni.,.se non è isteria questa...