giovedì 5 febbraio 2009

Involuzione silenziosa

Il diritto penale pre-moderno era caratterizzato da una peculiarità: per uno stesso reato, la pena poteva variare in base all’identità del reo e della vittima. In parole semplici: se un ricco ammazzava un povero, non subiva la stessa punizione di un povero che ammazzava un ricco.
Non il “fatto”, dunque, come elemento centrale del diritto, bensì il soggetto.
Oggi ci appare come un’aberrazione.
L’evoluzione del diritto penale, per fortuna, consegna agli uomini un principio di civiltà: La Legge è uguale per tutti.
Italia, 2008. Il governo Berlusconi applica una piccola modifica all’arti. 61 (comma 11 bis) del codice penale, ovvero “l’aggravante se il fatto [reato] è commesso da un soggetto che si trova illegalmente sul territorio italiano”.
L’attenzione - dal fatto - torna subdolamente a concentrarsi sui soggetti. Io e un clandestino possiamo commettere lo stesso e identico reato. Ma lui è clandestino…quindi è più grave.
Il veleno a piccole dosi quasi non si sente, si insinua nell’organismo e circola liberamente, inquinando giorno dopo giorno il nostro sangue.
Siamo presbiti. Riusciamo a vedere con chiarezza solo ciò che è distante; distante nello spazio e nel tempo.
E così, ciò che ieri era un’aberrazione, oggi non ci appare come tale.

2 commenti:

Pietro Spina ha detto...

non è per difendere la modifica introdotta dal governo, dio mi scampi, che è socialmente aberrante ed avrà effetti pesanti (non a caso Famiglia Cristiana parla di leggi razziali).
ma per amore di discussione e di diritto, devo dire che il tuo ragionamento mi lascia perplesso. è vero quello che dici sul diritto penale del soggetto e del fatto, ma prevedere una aggravante per il "fatto" che il soggetto che commette il reato si trova illegalmente nel territorio dello stato non mi sembra, di per sè, quello che dici tu. quella di trovarsi sul territorio illegalmente è una circostanza di fatto, che riguarda l'individuo, ma non ne costituisce una qualità "intrinseca". di fatti egli può legalizzare la sua condizione, non vi è "marchiato" a vita. è come prevedere un'aggravante per chi ha commesso già altri reati (cosa perfettamente compatibile con il nostro codice), anzi, in quel caso se vogliamo, il marchio è ancora più duro da rimuovere (anche se non del tutto indelebile). è come prevedere che un reato possa essere commesso solo da una persona che ha certe posizioni giuridiche (cd. "reati speciali o propri") ad esempio solo da chi è pubblico ufficiale (es. concussione), oppure che sono aggravati dal fatto che il reo abbia certe posizioni (es. la violenza sessuale è aggravata se chi la commette è genitore).

Nazarin ha detto...

Dunque, non sono un esperto di diritto e ovviamente da questo punto di vista mi affido alla tua più ampia conoscenza.
Tuttavia, sempre per amore di discussione, tento un obiezione:
da profano, "circostanza di fatto" - come dici tu - mi sembra una definizione più adatta, ad esempio, ad uno che si trova illegalmente nella proprietà altrui.
La clandestinità, più che una circostanza di fatto, mi sembra una condizione, quasi uno status sociale. Vero che, in linea teorica - come sostieni - è una condizione modificabile (in realtà per molti è quasi impossibile) ma anche la "povertà", di cui parlavo nel mio post, in teoria era una condizione modificabile.
Insomma, non vorrei aver commesso un abuso. Tuttavia, da Ius-ignorante, con sono certo quella di clanestinità possa essere considerata una semplice circostanza di fatto.
Purtroppo non posso sperare nell'aiuto di un Terzo, poichè il nostro comune amico ci snobba...
E mi scuso per lo stile di scrittura, ma sono a letto malato...