mercoledì 5 settembre 2007

L'intervista di Amato e il dibattito sulla sicurezza

L’intervista del ministro Amato su repubblica (http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/politica/piano-sicurezza/amato-intervista/amato-intervista.html) ha scatenato, come prevedibile, un vespaio di polemiche all’interno della maggioranza di governo. Il problema sicurezza è obiettivamente una spina nel fianco per la sinistra italiana, non nasce oggi e non è nato con le prime risoluzioni di Cofferati a Bologna. Francamente anche io mal digerisco le posizioni ideologiche che spesso trovano terreno fertile nell’humus culturale dell’estrema sinistra, per cui una certa criminalità è sempre riconducibile ai guasti del sistema, paralizzando ogni forma di intervento teso a reprimere (mamma mia che parolone!) alcune recrudescenze di illegalità. Ovviamente sono assolutamente inaccettabili le isterie che si scatenano a destra, tra le invocazioni barbariche leghiste e il sogno americano. Americano come il sindaco Giuliani e la sua “tolleranza zero”, che tanti adepti trova oggi anche tra le file della sinistra riformista.
Il problema è complesso e come tale va inquadrato e affrontato,ma a far discutere oggi è l’equazione per cui il lavavetri, la prostituta, così come l’evasore fiscale o il mafioso possano essere messi sullo stesso piano. Amato invoca la necessità di andare oltre i facili e ideologici buonismi, e assumere come principio cardine delle nuove politiche sulla sicurezza l’intolleranza verso ogni forma di illegalità. E’ un po’ il paradigma del già citato Cofferati.
La mia opinione personale è che la contraddizione sia assolutamente impossibile da sciogliere. Il dibattito poggia sull’illusione che l’alternativa sia tra “reprimere” o “integrare”, e su quale delle due opzioni sia più funzionale o più etica. La prima è un filo più funzionale, la seconda è un filo più etica.
E sia chiaro che la funzionalità dell’azione repressiva è fittizia, perché si limita fondamentalmente a produrre il fenomeno dello “spostamento”, per cui le energie criminali sono costrette a concentrarsi su altri obiettivi o ancora più semplicemente “altrove”. E allo stesso modo l’eticità dell’integrazione è una farsa. Ma come si fa ad integrare chi delinque per scelta o per necessità? Nel primo caso si dovrebbe ri-educare alla legalità, ma, se anche fosse possibile in via teorica, considerando lo stato del nostro sistema penale è un’autentica presa in giro. La permanenza in carcere fondamentalmente aumenta la distanza dalla società, mentre viene rinforzata l’appartenenza alla cultura criminale.
Nel secondo caso, è il nostro un sistema in grado di garantire a tutti la possibilità di vivere dignitosamente (ma anche non troppo dignitosamente) in modo legale?
Probabilmente può sembrare un discorso disfattista, ma è solo onesto. Il nostro sistema si poggia su una serie di contraddizioni inalienabili, e ogni pretesa di superarle diventa cattiva fede o faciloneria. La scelta è solo questa: più sicurezza o più etica? Insomma, dobbiamo soltanto decidere se vogliamo sentirci più tranquilli dentro casa e per le strade, o nella nostra coscienza. Per chi ce l’ha. Tertium non datur.

9 commenti:

Carlo Scognamiglio ha detto...

Da un lato mi pare che la discussione sull' "emergenza nazionale" dei lavavetri, questuanti e graffitari sia un deplorevole e maialesco modo di spostare l'attenzione del dibattito politico dalle mazzate che questo governo sta dando alle classi lavoratrici, ma anche al profilo culturale e scientifico del Paese (si pensi alle disastrose politiche sulla scuola e l'università). Oltre che ovviamente, un'offesa all'intelligenza umana (d'altro canto, quando si fa politica si punta alla pancia o al cervello, e il centrosinistra ha deciso senza remore di far leva sulla facoltà meno raffinata del proprio elettorato).

Un mio amico pensa invece che con queste "invettive" il centrosinistra stia scavando un fossato storico e definitivo con una pagina della propria tradizione: la cultura della solidarietà e dell'anti-autoritarismo poliziesco.

Diciamo che sono vere entrambe. Da un lato la nuova sinistra mostra il suo profilo cofferatian-fascista, e dall'altro getta demagogicamente fumo negli occhi parlando di problemi ai confini del surreale.

Vabbé ora vado a farmi lavare un vetro.

Carlo

Pietro Spina ha detto...

prima di leggere il tuo post e i commenti, segnalo, in tema, l'articolo sul blog di marco rossi-doria dal titolo " A proposito di lavavetri e in difesa del benaltrismo" (dario, non tel'aspettavi vero?).
mi permetto di pubblicizzare il link : http://marcorossidoria.blogspot.com/

cdgiul ha detto...

Caro Dario, se ho capito bene tu dici che la scelta è tra la convenienza (più sicurezza, dunque non opposizione alla proposta fascio-poliziesca) o etica (totale opposizione). Insomma, tra i buoni ma fessi e i cattivi ma realisti e attenti alla loro sicurezza. Mi sembra che questa impostazione risenta di quella dei falsi-buonisti parlamentari. Come tu stesso accenni, infatti, la proposta fascio-poliziesca può al massimo spostare da una forma di illegalità all'altra chi è costretto a ricorrervi per sopravvivere. Quindi è interesse (non etica) di tutti, compresi i piccolo-borghesi attenti solo al loro orticello, opporsi a false soluzioni come quella in questione. Cominciamo a chiarirci le idee su questo punto, poi ragioneremo su cosa proporre.

Nazarin ha detto...

Io non sono persuaso; se abito in un quartiere particolarmente degradato, magari frequentato da tossici, e ho anche una figlia che rincasa tardi, è inutile essere ipocriti: è mio interesse che lo stato renda il mio quartiere più sicuro, anche con un atto repressivo. Continuo a pensare che sia una questione di etica, perchè nessuno mi ha ancora convinto che sia più "conveniente" per me attendere i tempi e i modi della giustizia sociale piuttosto che vendere l'anima alla logica utilitarista.

cdgiul ha detto...

Se tu abiti in un quartiere degradato e ti aspetti che con "atti repressivi" lo stato te lo renda sicuro, chi è che si fa illusioni, tu o chi aspetterebbe i tempi della giustizia sociale? Io non nego che tu, come individuo, possa avere una vita più sicura, ma soltanto a condizione che tu individualmente, nel caso specifico, trovi i soldi per cambiare quartiere. Se invece pensi che, ferma restando la tua condizione di "poveraccio", tu possa comunque avere dallo stato con le sue misure/promesse più sicurezza o altro, penso che tu ti faccia enormi illusioni.
C'è poi la questione di fondo, che tu chiami etica e io scelta di classe. Restando al caso specifico in questione, se una scelta repressiva dello stato rendesse comunque più sicura la tua vita, rendendo nello stesso tempo più disagiata la vita di migliaia di altre persone, la sosterresti o no?
Naturalmente accettarla comunque è la scelta del piccolo borghese, l'altra quella perlomeno di un autentico democratico, e queste sono scelte che ognuno fa secondo la sua coscienza e scelta di classe. Io sono convinto che non si tratti di cercare qual'è la scelta più o meno etica(anche perché ogni scelta di classe ha la sua corrispondente etica)o più conveniente o realistica, perché se scavi sotto questi termini arrivi sempre e comunque al momento della scelta, che tutti noi comunque facciamo nei fatti, con più o meno consapevolezza.
Bel pippone, eh? Comunque ti assicuro che è sentito.

Nazarin ha detto...

E' proprio quando scrivi "queste sono scelte che ognuno fa secondo la sua coscienza" che io penso all'etica. E in qualche modo vi riduco anche la scelta di classe, ma questo è un altro discorso.
Ma su un punto bisogna essere obiettivi: non è vero che la repressione poliziesca non possa migliorare la vivibilità di alcune zone e di conseguenza anche la qualità della vita di chi vi risiede. Ci sono zone di Napoli prima del tutto inaccostabili e che ora invece, in quanto sorvegliatissime, sono assolutamente vivibili. E' ovvio che sono d'accordo sulla fallacia di certe misure, ma trovo assolutamente evidente che ognuno di noi baratta in qualche modo la propria etica per la sicurezza personale. Noi come occidentali, noi come Italiani, e noi come singoli individui

cdgiul ha detto...

Leggendo la prima parte del tuo intervento, mi rendo conto di non aver esplicitato una questione fondamentale e cioè la differenza tra sorte e scelte del singolo e quelle di un’intera classe. Come singolo certamente anche la scelta di classe può essere svincolata dall’appartenenza e quindi dagli interessi della classe di appartenenza. Basti pensare ad Engels, che non scelse certamente per ineteresse. Stesso discorso per la questione sicurezza. Come singolo o piccolo gruppo, certamente si può essere più sicuri se il proprio quartiere viene militarizzato, soprattutto se non si esce da esso. Ma se si parla di classe, il discorso è tutt’altro. Infatti le cifre generali dei reati nel Paese o anche nelle grandi metropoli oscillano di poco, indipendentemente dall’esistenza o meno di un numero di quartieri “sicuri”. E soprattutto non mutano le vittime, cioè sottoproletari. proletari e piccolo-borghesi innanzitutto. Per inciso, le zone “sicure” o sono già prevalentemente borghesi o lo diventano presto, perché la “sicurezza” (seppure relativa e geograficamente circoscritta) si porta dietro aumenti negli affitti, dei costi delle case e simili. Per quanto riguarda l’ultima parte del tuo intervento, da “e’ ovvio…” in poi, non ho capito cosa intendi, attendo aiuto in merito e poi risponderò.

Nazarin ha detto...

Andiamo per assiomi:
1) Non tutta la criminalità trova origine nell'ingiustizia sociale. Trovo che le posizioni criminologiche di quest'indirizzo ("criminologia critica") siano ideologiche e poco obiettive.
2) Buona parte della criminalità è conseguenza dell'ingiustizia sociale
3) Non esiste (nè è teorizzabile) un sistema scevro da ingiustizia sociale e, dunque, criminalità. Immagino tu non sia d'accordo su questo punto
L'unica possibilità è, dunque, detto in maniera molto banale, ridurre l'ingiustizia sociale. Ma tornando all'esempio del quartiere a rischio...l'unico modo per avere sicurezza in tempi tollerabili è, pur lavorando contemporaneamente sul superamento delle ingiustizie di classe ecc.ecc., la repressione dei fenomeni criminali. Abbiamo bisogno dell'ingiuistizia, abbiamo bisogno che lo stato usi la forza contro le fasce di emarginati che minacciano la nostra sicurezza. Se vivi in un quartiere difficile e vuoi che entro tempi ragionevoli diventi più sicuro, devi affidarti alla repressione poliziesca. Devi bere all'amaro calice. Oppure no, rifiutare la repressione e fare una scelta etica (perchè di etica si tratta), e sacrificare la propria sicurezza

cdgiul ha detto...

Penso che prima di affrontare eventualmente temi di carattere generale, come l’eternità o meno della criminalità, dovremmo chiarirci sul punto di partenza di questo confronto, se cioè misure, norme,atti repressivi dello stato possono o no ridurre i fenomeni criminali/illegali. E non in riferimento alle sorti di un singolo o di un quartiere o zona di una città, ma a livello nazionale. Io ritengo che non vi siano dati – non ipotesi – a favore di questa tesi, tant’è che i fenomeni criminali restano pressoché invariati pur al variare delle pene,ad esempio. Persino in riferimento alla tanto decantata “tolleranza zero” di Giuliani, il suo reale effetto è stato quello di spostare dal centro alla periferia molta parte dei fenomeni criminali di n.y. Conosci dati, riferimenti concreti che smentiscano questi fatti? Se ci scambiamo fatti, oltre alle riflessioni, sarà più utile a entrambi questo serrato confronto.