Asca, 1 aprile 2008
Con mille nuovi detenuti ogni mese, le carceri italiane stanno di nuovo scoppiando proprio come prima dell’indulto: la denuncia arriva da mons. Giorgio Caniato, che per la Cei ricopre l’incarico di Ispettore Generale dei Cappellani Italiani.
In vista delle prossime elezioni, mons. Caniato, che è stato anche cappellano di San Vittore a Milano, non arriva a chiedere un nuovo indulto. "Piuttosto serve una riforma del Codice Penale, con la depenalizzazione di molti reati, e il potenziamento delle misure alternative al carcere, come l’affidamento ai servizi sociali".
Anche se, aggiunge, "molti parlamentari, non faccio nomi, si sono fatti eleggere promettendo amnistie e condoni e poi, quando è arrivato Mastella e ha fatto l’indulto, tutti si sono tirati indietro e hanno fatto finta di non esserci mai stati, oppure hanno tirato fuori dei numeri che non rispondono alla realtà".
"Non è assolutamente vero - si accalora - che se la gente delinque è colpa dell’indulto. La maggior parte dei detenuti sono nuovi, pochissimi i recidivi". "Sono impressionato - spiega - dalla perdita di identità morale della società: chi arriva in carcere non sono solo i poveracci, quelli che trasgrediscono la legge per motivi economici, che sarebbero anche giustificati a rubare se muoiono di fame, ma i ricchi.
C’è una grandissima crescita dei reati in famiglia, sulla strada, tra i giovani. In tanti anni non ho mai visto una situazione del genere: ho avuto solo due ragazzi dentro per omicidio quando, dal ‘59 al ‘73, sono stato cappellano del carcere minorile "Beccaria". Adesso i ragazzi che arrivano in carcere si mettono a piangere, non si rendono conto di essere responsabili della violenza. E si è persa completamente ogni fiducia nella giustizia e nella legalità".
Anche la magistratura, aggiunge mons. Caniato, ha la sua grande parte di colpa in questa crisi: "Quando ero a San Vittore, durante Mani Pulite, ho conosciuto tanta casi di gente che è finita dentro ed poi stata rimandata a casa perché non aveva fatto niente. È vero che la giustizia è politicizzata". Poi, conclude, "basta con i processi mediatici come quelli di Cogne o di Erba: non dico che è colpa dei magistrati la crisi della nostra società, ma che i magistrati dovrebbero occuparsi delle indagini invece di fare conferenze stampa, altrimenti si perde credibilità e serietà".
In vista delle prossime elezioni, mons. Caniato, che è stato anche cappellano di San Vittore a Milano, non arriva a chiedere un nuovo indulto. "Piuttosto serve una riforma del Codice Penale, con la depenalizzazione di molti reati, e il potenziamento delle misure alternative al carcere, come l’affidamento ai servizi sociali".
Anche se, aggiunge, "molti parlamentari, non faccio nomi, si sono fatti eleggere promettendo amnistie e condoni e poi, quando è arrivato Mastella e ha fatto l’indulto, tutti si sono tirati indietro e hanno fatto finta di non esserci mai stati, oppure hanno tirato fuori dei numeri che non rispondono alla realtà".
"Non è assolutamente vero - si accalora - che se la gente delinque è colpa dell’indulto. La maggior parte dei detenuti sono nuovi, pochissimi i recidivi". "Sono impressionato - spiega - dalla perdita di identità morale della società: chi arriva in carcere non sono solo i poveracci, quelli che trasgrediscono la legge per motivi economici, che sarebbero anche giustificati a rubare se muoiono di fame, ma i ricchi.
C’è una grandissima crescita dei reati in famiglia, sulla strada, tra i giovani. In tanti anni non ho mai visto una situazione del genere: ho avuto solo due ragazzi dentro per omicidio quando, dal ‘59 al ‘73, sono stato cappellano del carcere minorile "Beccaria". Adesso i ragazzi che arrivano in carcere si mettono a piangere, non si rendono conto di essere responsabili della violenza. E si è persa completamente ogni fiducia nella giustizia e nella legalità".
Anche la magistratura, aggiunge mons. Caniato, ha la sua grande parte di colpa in questa crisi: "Quando ero a San Vittore, durante Mani Pulite, ho conosciuto tanta casi di gente che è finita dentro ed poi stata rimandata a casa perché non aveva fatto niente. È vero che la giustizia è politicizzata". Poi, conclude, "basta con i processi mediatici come quelli di Cogne o di Erba: non dico che è colpa dei magistrati la crisi della nostra società, ma che i magistrati dovrebbero occuparsi delle indagini invece di fare conferenze stampa, altrimenti si perde credibilità e serietà".
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