sabato 13 settembre 2008

Sartori e Canfora sulla democrazia: libera interpretazione

Nell’immaginario comune democrazia è sinonimo di “uguaglianza, giustizia, libertà”.
L’uso fraudolento del termine ne ha ovviamente snaturato il senso; e di questo senso snaturato si riempiono la bocca e le tasche politici e intellettuali, lasciando a pochi eretici l’ingrato compito di additare le nudità dell’Imperatore (v., ad es., “Sudditi”, di Massimo Fini).
Ma per la maggior parte degli attori in campo nella quotidiana bagarre politica, la democrazia non si discute. Piuttosto ognuno accusa l’avversario di oltraggiarla, svuotarla di senso, aggredirla. Ognuno pesca dal mazzo una figura retorica e la mette sul tavolo. La sinistra prende l’uguaglianza, il centro-centro sinistra la giustizia, la destra stringe la presa sulla libertà.
Non sempre nella storia questi concetti hanno avuto ed hanno la stessa fortuna e forza evocativa. Oggi l’uguaglianza tira poco. Anzi, di fronte allo “spavento” per i movimenti migratori, i Rom, gli stupri di gruppo e le truppe di indultati, appare quasi come una minaccia. La sinistra, infatti, è fuori dal Parlamento.
La giustizia è già più efficace…permette infatti all’elettorato “moderato” del centro-centro sinistra di rivendicarla sia per difendersi dai Rom che per attaccare Berlusconi, per dare un calcio in culo ai lavavetri e uno a Dell’Utri. Il problema è che sono in troppi oggi a voler indossare il mantello di giustiziere, e il centro-centro sinistra rischia continuamente di farselo strappare di mano dalle truppe dell’antipolitica, pronte ad usarlo con ancora maggior vigore.
La destra possiede in questo momento l’arma più efficace. La libertà è un’idea dalla forza retorica impareggiabile. Perché, detta così, non significa niente. E’ un concetto vuoto, così come “uguaglianza” e “giustizia”. La ricetta del consenso impone di evitare eccessi di zelo. La finzione ideologica prevede ideali fumosi, in modo da lasciare al singolo la possibilità di cucirseli addosso. La “libertà” è perfetta. Ogni cittadino potrà immaginarla come la “propria libertà”. E chi vorrebbe andare contro la propria libertà? L’uguaglianza è interesse di chi è dal lato sbagliato dell’equazione. Ma ora ci sono gli immigrati, che non votano…non conviene più l’uguaglianza. In soffitta. Oggi vestiamo di libertà. E siamo noi ad essere nudi, non l’Imperatore.
Ma torniamo alla democrazia. In particolare, a due libri di cui ho recentemente completato la lettura: “La democrazia in trenta lezioni” di Giovanni Sartori e “Critica della retorica democratica” di Luciano Canfora.
Il primo testo non ha grosse pretese, nonostante il titolo a carattere particolarmente didattico. E’ un’opera divulgativa, riadattamento di una serie di “pillole” somministrate dal celeberrimo Professore in un programma televisivo. Trenta capitoli, dunque, per illustrare i concetti chiave per comprendere la “democrazia”. E per difenderla, giacché Sartori si prodiga di dare spazio anche alle critiche degli oppositori del dogma democratico. Ma, com’è naturale che sia, lo fa attraverso la propria penna, e dunque non può risultargli particolarmente difficile liquidare le varie obiezioni con poco più di un’alzata di spalle.
Ma il testo è scorrevole, limpido, utile quindi ad alfabetizzare chi è a digiuno sull’argomento.
Sartori prova subito a spaventare l’ignaro lettore, presentando con disinvoltura i paradossi della democrazia. Bobbio illustrava benissimo la duplice natura della democrazia come “mezzo” e “fine” allo stesso tempo. Sartori evidenzia come la democrazia sia contemporaneamente “governo del popolo” e “governo sul popolo”. Il potere è infatti una relazione, per cui un individuo x ha potere su un individuo y. Il professor Chiodi esprime attraverso una formuletta (D/S) la necessità di questa relazione: uno spazio per il Detentore del potere (D), uno per chi il potere lo subisce (S) e uno per i mezzi di esercizio e controllo del potere (/). A meno di non pensare ingenuamente che la democrazia rappresenti il superamento di questo rapporto, e quindi una totale coincidenza di D ed S (autogoverno del popolo), la spiegazione ci viene suggerita dal Professor Sartori: trasmissione rappresentativa del potere.
Quindi mettiamo in cassaforte la prima conquista: la democrazia, in una società complessa, è - e non può non essere - “rappresentativa”. Il popolo non governa dunque nella sua interezza, ma sceglie dei rappresentanti, i quali andranno ad occupare lo spazio “D”. Maliziosamente si potrebbe insinuare che in questo modo il popolo sceglie soltanto chi dovrà comandarli; ma la dialettica democratica è più complessa. I rappresentanti del popolo hanno un tempo a disposizione per esercitare il loro mandato, e convincere gli elettori a rinnovare loro la fiducia. Questa dipendenza del potere dalla legittimazione popolare, è uno degli elementi di garanzia del cittadino. Non oso intervenire sulla formula del Professor Chiodi, ma forse potremmo aggiungere un ulteriore spazio, quello attraverso il quale i “sudditi” condizionano il “potere”. Attraverso il voto e le altre forme di partecipazione che garantisce il sistema democratico. O, più semplicemente, lo spazio “/” andrebbe inteso in senso più dialettico, come luogo di esercizio del potere sia del Detentore che dei Sudditi.
Si evince da quanto detto, il ruolo fondamentale, all’interno di un sistema democratico, dell’opinione pubblica. Va da sé che l’opinione pubblica ha un senso se “libera”.
E’ una questione pregnante, invisa ai sostenitori della democrazia quando gradita ai suoi detrattori.
Ma prioritario, sia nel lavoro di Sartori quanto in quello di Canfora, è individuare chi occupi realmente lo spazio del Detentore. Qual è in confine tra democrazia e oligarchia?
Sartori esplora rapidamente il pensiero di grandi autori come Mosca, Dahl, Schumpeter, fino a sintetizzare il proprio in poche parole: la democrazia è effettivo governo della maggioranza se si sottopone alla regola maggioritaria. Un fatto di ingegneria politica, dunque, la capacità di organizzare il sistema delle decisioni intorno alla regola ereditata da John Locke.
Non vi è dunque un’oligarchia, bensì, come sostiene Dahl, una poliarchia, dove diversi gruppi di potere si alternano nel decidere delle “questioni fondamentali”, e la loro alternanza è la garanzia della partecipazione di tutta la cittadinanza, attraverso i suoi rappresentanti, alle decisioni importanti.
Il quadro che ne emerge non è troppo diverso da quello di un mercato, dove ognuno può acquistare, attraverso il voto, la propria quota di partecipazione. Purtroppo, una singola quota non serve a niente. All’imbonitore farà comodo venderne il più possibile, ma i singoli acquirenti non si ritroveranno un bel niente tra le mani.
Purtroppo molti parolai, e quasi nessun matematico si occupa di democrazia.
La democrazia in cui ogni voto “conta” è una favola per bambini; il voto, per avere peso, deve essere organizzato. La mia partecipazione passa inevitabilmente attraverso l’adesione a gruppi di pressione, così come richiede la dialettica interna ad una poliarchia.
Il testo di Canfora si presenta, sin dal titolo, con un approccio radicalmente opposto:”Critica della retorica democratica”. Si tratta di un testo agile, scorrevole, ma incisivo nell’aggredire i luoghi comuni su cui si fonda la cantilena democratica.
L’oggetto d’analisi è più ampio, rispetto al libro di Sartori; l’indagine si spinge fino alle ragioni storiche e attuali della crisi della sinistra, lasciando trasparire tuttavia ottimismo, fiducia in quel cambiamento che non potrà non avvenire.
Non si tratta dell’altro ritornello, ovvero quello della rivoluzione proletaria. Canfora sfugge con intelligenza e invidiabile leggerezza a luoghi comuni e pregiudizi ideologici.
Sin dalle prime pagine, l’autore segnala la doppiezza delle democrazie occidentali:
innanzitutto, l’ambiguità ideologica. Se le democrazie sono tali al loro interno, sostengono fascismo e dittatura un po’ ovunque per il mondo, rivelando una natura tutt’altro che refrattaria al ricorso alla violenza e all’oppressione. Come saggiamente osservava Thomas Mann, la reale identità di un sistema politico andrebbe misurata su scala planetaria, non nazionale.
In secondo luogo, Canfora svela l’ipocrisia dell’ideologia del consenso. L’elettore infatti non sceglie in assoluto, ma tra una serie di opzioni, soprattutto se ha interesse ad esprimere un “voto utile”. E il voto utile, in tutte le democrazie occidentali, converge verso il centro.
Dunque, viviamo in un “sistema misto”, formato da democrazia (poca) e oligarchia (molta). Questo sistema, infatti, combina il principio elettorale (istanza democratica) con la realtà, opportunamente garantita, della prevalenza dei ceti medio-alti.
E’ sufficiente guardare un po’ in casa nostra. Basti pensare alla censura; i personaggi più temuti non sono gli estremisti, ma quelli in grado di “aggredire” culturalmente il centro. Coloro che possono influenzare il vero ago della bilancia.
Il risultato è l’emarginazione dei ceti meno competitivi e il drastico ridimensionamento della loro rappresentanza.
La democrazia, dunque, non può essere analizzata “in abstracto”, ma nelle sue declinazioni storiche, nella sua concretezza. Le democrazie occidentali sono un sistema di governo che prevede l’alternarsi al potere di rappresentanti del ceto medio. Cambiano dunque i gestori del potere, ma non gli interessi.
Si tratta di poliarchia, come vuole Sartori (o meglio Dahl…), se guardiamo ai “gruppi di potere”. Parliamo invece di oligarchia, come più correttamente – a mio avviso – sostiene Canfora, se guardiamo agli interessi.
La democrazia, a differenza di tutte le forme di governo che l’hanno preceduta, prevede – almeno sul piano teorico - un’assoluta coincidenza dei fini cui ambisce, e i mezzi attraverso cui intende perseguirli. Un cerchio perfetto, un assoluto, in cui il cambiamento è ridotto a mero assestamento. La democrazia, apparentemente, non può essere superata.
E probabilmente, da un punto di vista politico, è davvero così. Canfora affida la speranza nel cambiamento alla cultura, alle intelligenze.
Ma la democrazia è un Leviatano che fagocita qualunque cosa, anche il dissenso, anche la produzione culturale dei suoi “nemici”. Il capitalista pubblica i libri dei suoi detrattori, ed entrambi si arricchiscono. L’interesse, come dicevamo, è lo stesso…nulla cambia all’interno della struttura del Leviatano. Al massimo, come già scritto, è possibile parlare di “assestamento”.
Ma la cultura cui fa riferimento Canfora è un’altra cosa; lo scrittore rivolge la speranza a quelle opere che sono in grado di realizzare rivoluzioni copernicane, di cambiare il modo in cui l’uomo guarda al mondo. Opere come “Il Capitale” di Marx o “L’evoluzione della specie” di Darwin, che hanno segnato un punto di non ritorno nella storia culturale dell’umanità.
Pensieri di forza e capacità rivoluzionaria immensa, in grado di rovesciare lo stomaco dell’ingordo Leviatano.
Pensieri in grado di intervenire nello spazio “/”, e offrire una nuova difesa contro il più potente degli strumenti di dominio della demo-oligarchia: la finzione ideologica.

17 commenti:

Pietro Spina ha detto...

me li fai leggere per farmi incazzare? provocazione riuscita, complimenti. del resto non mi aspettavo che ti iscrivessi al partito dei sostenitori della democrazia, e sospettavo che aderissi a quello dei suoi detrattori, quindi bene hai fatto a dirlo esplicitamente. quello che mi fa rabbia (mi permetto perchè siamo amici) è il modo in cui ti abbandoni all'uso improprio di termini e metafore, al fascino perverso della frase ad effetto, del giudizio tagliente rifilato di straforo. un modo affascinante di argomentare, certo (e chi più di me ammira queste abilità) però non è così che si discute di democrazia in quel modo che Platone voleva si discutesse per arrivare alla "verità" (e lasciamo stare che anche lui...).
già quando dici che la libertà è utilizzata dalla destra (e quindi imponi al lettore l'equazione libertà=liberalismo=ideologia di destra) ti dimentichi che il concetto è stato utilizzato a piene mani dalla sinistra, e proprio da quella comunista (ti ricordi come dice Bandiera ROssa: "evviva il comunismo della libertà"; e il giornale di Rifondazione come si chiama? si chiama o chiamva così anche ilgiornale dei comunisti cinesi). e poi i tre concetti sono fondamenti ideologici di molte ideologie poliche, forse di tutte, perchè appiopparli alla democrazia, con l'accusa implicita che sia tale sistema ad autorizzarne l'uso distorto?
e poi che cosa c'è di male nella "libertà"? perchè a devi contrapporre alla giustizia, come a dire che chi è libero fa un po' il cazzo che gli pare e quindi non si comporta in modo giusto e quindi impedisce l'uguaglianza? che ci sia un mondo di persone "totalmente" libere è altrettanto (nè più nè meno) impossibile che un mondo totalmente giusto e abitato da persone totalmente uguali. non a caso tali attributi si predicano per Dio e per il Paradiso. allora, se non c'è niente di male nel farsi condurre da questi concetti come "aspirazioni" cosa c'è di male nel prenderli tutti e tre insieme e non uno alla volta?
del resto sei sempre tu che ammetti che senza libertà dell'elettore, dimostrando così che quando vuoi lo sai usare il concetto di libertà in senso relativo. e perchè mai allora la democrazia sarebbe un Assoluto e non ammetterebbe superamento??? sarebbe come dire che la Relatività è un assoluto, cioè sarebbe un'assurdità logica, un sofisma inutile.
non ho intenzione, per ora di tornare sulle note posizioni dei vari studiosi che citi, per esempio per dire che Bobbio parlava pragmanticamente di democrazia come metodo; magari ci torniamo un'altra volta se ci sono lettori interessati.
ora mi voglio limitare a mettere in risalto alcune tue (e non solo tue) "astuzie" dialettiche (o ingenuità, a seconda del punto di vista). per esempio chiamare "sudditi" i cittadini che non esercitano direttamente il potere nella democrazia rappresentativa.
la parola sudditi evoca servaggio, sottoposizione alla violenza ed all'arbitrio del signore, privazione del proprio volere, totale impotenza. e proprio di tale potere evocativo tu, e gli autori che citi, si approfittano. però se sudditi significa persone provate del potere di partecipare alle decisioni allora non ha proprio senso parlarne a proposito di coloro che vivono in sistemi democratici, anche se vogliamo limitare il significato di tale espressione all'essere le democrazie occidentali degli stati di diritto. di fatti, se utilizziamo il termine in senso storico (quel senso storico che tu stesso invochi come indispensabile strumento di analisi che evita il parlare astratto riporta alla mente le celebri frasi del barbuto di Treviri) allora vediamo immediatamente che "suddito" è un concetto che si contrappone a "cittadino" e distingue l'abitante di un sistema feduale o monarchico da un abitante di un sistema che tale non è, altrimenti non si sarebbemai usato il termine "sudditi". ed ecco l'astuzia, nemica della dialettica: l'uso fintamente scientifico di un termine apparentemente neutrale che invece contiene un forte elemento dispregiativo; cosa posso aspettarmi che mi spieghi "scientificametne" della democrazia uno che chiama disinvoltamente il cittadino suddito??
allo stesso modo parlare di "poliarchia" dopo aver bollato come "favola" (ancora epiteti spregiativi en passant)il concetto di democrazia diretta: il termine poliarchia richiama quello di oligarchia e implicitamente contiene il giudizio sulla democrazia dei "gruppi" come strumento di assorbimento (ed annullamento) della volontà dell'individuo (il mio voto non conta nulla) e quindi dà l'idea al lettore che la democrazia dei gruppi di pressione (o dei partiti o dei sindacati) è solo oligarchia mascherata. invece se avessi usato il termine "pluralismo" al posto di poliarchia, se tu avessi parlato di democrazia ramificata, di pluralità degli ordinamenti giuridici, avremmo forse fatto un passo avanti, avremmo approfondito il ragionamento sulle democrazie complesse, ovvero, per dirla storicamente, sulle democrazie esistenti. del resto tu stesso, in un moto di sincerità di cui mi arrogo qualche merito (del resto queste sfuriate ti sono ben note!) hai affermato che la dialettica democratica è cosa assai complessa enon ammette giudizi trancianti.
ti saluto e spero che la discussione continui ma con toni meno "ideologici",
altrimenti ti appilo il blog!!!
abbracci democratici
mario

Nazarin ha detto...

Ciao Spina; rispondo ad alcuni punti essenziali del tuo intervento:
1) Non ho scritto che la libertà sia patrimonio unico della cultura di Destra, nè che sia il contrario di "giustizia", e tantomento che sia una cosa brutta. Ho scritto che è (attualmente) la figura retorica più utilizzata e più efficace tra quelle espresse dalla destra. Ovviamente si tratta di una generalizzazione, che voleva evidenziare l'uso improprio che fanno di alcuni "concetti facili" le diverse propagande.
2) Non intendevo affatto che la democrazia non sia superabile. Piuttosto, che così appare, così si presenta. Io la penso diversamente, come ben sai.
3) "Sudditi" non è un mio termine, ma di alcuni autori che ho citato. Così come ho citato termini usati da altri autori, di diversa posizione rispetto alla democrazia, nell'esporre le loro opinioni.
Si tratta ovviamente di una provocazione, di cui tuttavia condivido la sostanza di fondo.
Ti faccio notare che anche "pluralismo" non è un termine proprio neutrale...
4) Non ho scritto che la democrazia diretta è una favola. Piuttosto, che è una favola la possibilità di incidere col proprio singolo voto in una democrazia rappresentativa.

Mi sembra che sostanzialmente ciò che non condividi del mio pensiero sia l'idea dell'ininfluenza del voto, di quello che io considero un geniale inganno.
Al di là dei termini usati e degli autori citati, mi spieghi cosa, a tuo avviso, non funziona nell'impianto del mio ragionamento?

Guanaco ha detto...

ha ragione nazarin

Nazarin ha detto...

Guanaco...mi sembra di riconoscere il nick :)

Pietro Spina ha detto...

guanaco sputa sentenze..

nessuno può dare ragione a nazarin così, salvo che non lo prenda per il culo, per cui o sei lo stesso nazarin sotto mentite spoglie (ma la cosa sarebbe più degna di me che di lui) o sei il nostro amico buontempone

Nazarin ha detto...

Ahi! Ahi!
Se avessi riconosciuto Guanaco non avresti utilizzato questi toni :)
Guanaco altri non è che...l'autore di "Marzo", l'inventore della Taranteira (una fusione di Taranta e Capoeira).
Comunque è vero che il Guanaco sputa...sentenze non lo so...

Nazarin ha detto...

Però Spina ha ragione: dovresti spendere qualche argomento...

Guanaco ha detto...

pietro spina è pazzo

Pietro Spina ha detto...

invece credo proprio di averlo riconosciuto, il nostro amico eccellente. e poi il giudizio su di me lo conferma

Pietro Spina ha detto...

davvero non riesco a capire cosa ci trovi di così "geniale" nell'idea (non so se è venuta a te o ad altri) che il voto singolo non determina l'esito del voto finale e perchè credi che ciò debba inficiare ab imo l'idea della democrazia.
il fatto che ogni singolo voto individualmente preso non sia sufficiente a determinare il risultato rientra normalmente nel fenomeno per cui un singolo gesto individuale non determina fenomeni di massa, che può anche sembrare paradossale ma è di comune osservazione. Di per sè, non è più sconvolgente del fatto che una singola pecora che esce dal gregge non elimina il gregge nè determina lo spostamento del gregge, ma se le altre pecore la seguono è il gregge che si sposta. se un singolo correntista di una banca ritira il proprio deposito non succede nulla, ma se molti lo seguono è un crack. non ci trovo proprio niente di strano nel fatto che un atto individuale non incide sul piano generale uti singulus, ma il generale è sempre una somma di atti individuali. insomma, il grande filosofo duemilacinquecento anni fa o giù di lì lo scrisse placidamente "una rondine non fa primavera", ma ciò non toglie che a un certo punto arrivano tutte le rondini ed è primavera (lascia stare che non sono le rondini a fare la primavera).


più interessante è la discussione sulla democrazia come metodo e come fine e io riparto sempre dalle nozioni che ho tratto Bobbio. partire dall'idea che la democrazia sia un metodo è l'unico sistema per arrivare a qualche conclusione utile (e non alla conclusione che la democrazia è un bene o un male, questo non lo considero utile). però non è che risolve tutto. anche se si ammette la democrazia è un metodo non è altrettanto scontato che tutto ciò che si decide con metodo democratico sia democratico. questo si che è un paradosso!
per esempio la decisione di non permettere ai neri di votare non è democratica anche se presa a maggioranza ed anche se si postula la libertà degli elettori, la segretezza del voto, l'assenza di propaganda capziosa ec.ec. allora vi sono delle decisioni che sono implicitamente democratiche? e ciò significa tornare alla democrazia come valore? direi di no;non si può dire che una decisione è democratica in positivo ed in astratto, piuttosto ci sono delle decisioni che,anche a priori, in astratto, NON sono democratiche (il giudizio di questo tipo, insomma, è possibile solo in negativo). allora possiamo dire che non è democratica ogni decisione che impedisca in futuro di continuare ad utilizzare il metodo democratico. e fin qui ci siamo.
però ora tu insisterai (giustamente) sul fatto che nella democrazia rappresentativa non si prendono decisioni con il metodo democratico puro ma semmai si eleggono delegati a decidere, scegliendoli con un sistema elettorale lato sensu democratico. in questo caso la democrazia ha due livelli, quello dell'elezione dei delegati e quello del voto da parte dei delegati. se vogliamo i livelli diventano tre quando si considera il Governo che a sua volta è "eletto" dai delegati. ma questo fa parte della complessità delle democrazie complesse, e va indagato con molta calma, senza la pretesa di giungere alla conclusione che il sistema è NECESSARIAMENTE in contraddizione con le sue premesse e quindi è fintamente democratico. questo sistema è l'unica cosa esistente cui possa predicarsi l'aggettivo "democratico" e quindi, a meno di non escludere del tutto il senso della parola democrazia (cosa che si fa spesso troppo a cuor leggero), si deve dire che tale sistema può funzionare più o meno bene,può essere più o meno coerente con le sue premesse (la partecipazione e il metodo democratico) ma finchè si conserva, almeno in linea di massima, come sistema fondato su quel metodo è un sistema democratico. e se vogliamo fare un confronto tra sistemi democratici per vedere quale funziona meglio è un conto; se invece vogliamo confrontare un sistema democratico (intanto fingendo che ce ne sia uno paradigmatico o astraendone uno nella nostra mente)con un altro sistema che democratico non è, l'operazione (piuttosto sterile ma forse filosoficamene interessante) può essere legittima se il sistema preso a termine di paragone ha una consistenza teorica o un'esistenza storica, ma non se si pretende di confrontare un sistema democratico esistente con un imprecisato modello ideale di democrazia o, addirittura, un modello palusibile di sistema democratico con la Democrazia in Assoluto (con il suo corredo di attributi Totali, tipo libertà totale, giustizia totale e paradisi artificiali vari).

(II parte di 100 lezioni sulla democrazia di Pietro Spina)

Nazarin ha detto...

Innanzitutto, perchè la conversazione proceda liscia, è necessario evitare equivoci.
Spina, io non ho mai definito "geniale" l'idea che un solo voto non sia significativo...piuttosto, ho definito un "geniale inganno" quello che lascia intendere al cittadino che il suo voto sia importante. Così si conferisce all'elettore l'idea (falsa) che egli stia concorrendo alla vita politica della nazione.
D'accordo o meno, è diverso da quello che hai riportato.
Dissento sull'esempio della rondine.
Se io vado ad una manifestazione, anche se la mia presenza può essere più o meno influente, è comunque qualcosa. Su questo immagino siamo d'accordo. Invece il voto è niente, è esattamente uno "zero". Questo è quello che considero il paradosso del voto. Non ha nemmeno una valenza "trainante". E' semplicemente zero. Che io vada a votare o meno non cambia assolutamente nulla.
Il metodo democratico...bene, la democrazia è un metodo. E possono essere considerate non democratiche le decisioni che vanno a ridurre la democraticità del metodo stesso.
E' un paradosso, Spina. Bisogna prima definire il metodo. Se il metodo è quello di decidere a maggioranza, ma sono da considerarsi non democratiche le decisioni che vadano contro questo metodo, possiamo dedurre - come dici tu - che decidere di non far votare i neri, ad es., sarebbe non democratico.
Ma non è possibile sostenere questo! Se la democrazia è un metodo, e io quella decisione l'ho presa con metodo democratico, il risultato non può essere considerato non-democratico!
A meno di non sostenere che la democrazia sia innanzitutto un valore. Ma questo valore potrebbe essere difeso o portato avanti anche con metodo non democratico? Potrebbe essere un dittatore illuminato, baluardo della democrazia? Non credo proprio. La democrazia come valore non ha alcun senso senza democrazia come metodo.
E tuttavia, con metodo democratico è possibile e lecito ridurre gli spazi di esercizio democratico.
La verità, secondo me, è che la democrazia non sia affatto un valore. E' solo un metodo, e il suo grande inganno sta proprio nel presentare se stessa come un valore.
Altrimenti la contraddizione resta insanabile, e non mi sembra che il tuo "paletto" argini la diga.
Anche io considero la democrazia un metodo. Un metodo di gestione della cosa pubblica, che esercita il controllo non attraverso la violenza bensì tramite finzione ideologica. Lo so non sei d'accordo...

Nazarin: 100 invettive contro la democrazia

Pietro Spina ha detto...

ho fatto di proposito la confusione tra la genialità del (preteso) inganno e quella del (presunto) paradosso perchè volevo sfottere e far capire che non mi sembra affatto che la non influenza del voto singolo sia argomento tanto "geniale" da essere in grado di smontare i presupposti della democrazia.
il vero "paradosso", quello della decisione antidemocratica democraticamente presa, è in realtà un paradosso solo "logico" e non "storico" perchè esiste solo se si ragiona in termini astratti. nella raltà non si perviene mai a decisioni "puramente" democratiche, ma solo tendenzialmente democratiche e quindi a contenuti mai puramente antidemocratici (cioè che aboliscono la democrazia) ma solo tendenzialmente restrittivi del metodo democratico. anche in astratto però, si può dire, secondo me correttamente e senza contraddizione insanabile, che tutte le decisioni (fatte con metodo democratico) sono democratiche tranne alcune (quelle che escludono od ostacolano il METODO democratico non quelle che contrastano con il VALORE democrazia). perchè l'esistenza di eccezioni dovrebbe invalidare la regola? caso mai la confermano.

e comunque alla fine esprimi un giudizio tranciante sulla democrazia che tu stesso identifichi con un metodo (addirittura solo come metodo, negando cittadinanza all'uso del termine anche sul piano assiologico) ed è un giudizio di valore, non di metodo. dovresti dire quale è il valore di riferimento.
il mio paletto, come dici tu, non argina la diga, ma come può un paletto arginare una diga? come può uno scoglio arginare il mare??

Nazarin ha detto...

"e comunque alla fine esprimi un giudizio tranciante sulla democrazia che tu stesso identifichi con un metodo (addirittura solo come metodo, negando cittadinanza all'uso del termine anche sul piano assiologico) ed è un giudizio di valore, non di metodo. dovresti dire quale è il valore di riferimento".

Non c'è alcun valore di riferimento. Qual'è il valore di riferimento di altre forme di governo? Il governo e basta. Stesso discorso vale, a mio avviso, per la democrazie. Che tuttavia, ponendosi come valore, può esercitare il controllo facendo scarso ricorso a misure repressive.
Sul paradosso: non si tratta di eccezioni e regole. Non esiste alcuna eccezione, secondo me. Tutto ciò che è conseguito con metodo democratico, essendo l'aspetto valoriale legato a quello metodologico, va considerato democratico. E' vero, si tratta di un paradosso logico, che tuttavia evidenzia a mio avviso la nebulosità del concetto di democrazia. Un concetto impossibile...
Storicamente, dici che è un'altra cosa.
La maggioranza degli elettori ha delegato al governo una coalizione di forze politiche che non ritengono di dover estendere il diritto di voto agli immigrati. E' una decisione democratica o no?
Al di là dei dettagli, trovi sarebbe più importante difendere il diritto alla partecipazione politica degli immigrati, o il diritto della maggioranza degli aventi diritto al voto a negar eloro questa possibilità?
Io sono senz'altro per la prima ipotesi, poichè per me la democrazia non è un valore.

Pietro Spina ha detto...

nessuno dei pretesi paradossi su cui insisti è veramente tale e veramente in grado di inficiare la teoria della democrazia. il fatto che un voto vale 1 su 20 milioni (ma 1 è diverso da zero) e quindi come dici tu "non conta" non significa proprio niente. proprio niente di più del fatto che una rondine non fa primavera ma tutte le rondini sì.
il fatto che alcune decisioni pur se prese con metodo democratico non possono dirsi tali perchè implicano una restrizione all'utilizzo del metodo suddetto è altrettanto un'affermazione plausibile, pienamente logica e storicamente rilevabile. sul piano della realtà non trovo molto "tendenzialmente" democratico la negazione del voto agli immigrati perchè riduce il metodo democratico (che è tanto più efficace quanto più è larga la platea degli elettori e bada che ho detto "efficace" non "democratico", non è un giudizio di valore, per quanto io non neghi che la democrazia sia anche un valore, in qualche modo). credo che prima o poi lo daranno il voto agli immigrati, che come sempre avviene, voteranno a destra (vedi USA) perchè sono ultra cattolici, tendenzialmente legati a culture maschiliste ed, in molti casi, impreparati ad un sistema democratico, oltre che, appartenendo a ceti spesso esclusi da circuiti culturali più alti (a volte anche per motivi linguistici), più facilmente vittime della propaganda televisiva di basso profilo. per cui credo che Fini (Gianfranco) abbia fatto bene i suoi conti e la sinistra, giustamente, fa una battaglia "di democrazia" in cui ha molto da perdere. visto che paradossi!

Nazarin ha detto...

Non ho dubbi che gli immigrati voterebbero a destra. Ma non c'entra niente.
Il voto non è 1 su 20000. E' irrilevante, come lo zero, perchè vincere con 1000 o 1001 voti di scarto è esattamente la stessa cosa.
Ma al di là di questo, io voglio capire una cosa. Per ora stiamo sulla logica.
Che la democrazia sia un "metodo" siamo d'accordo. Ora parliamo della democrazia come valore. In che senso lo è? Credo si possa sostenere che la democrazia è anche un valore, in quanto il metodo è contemporaneamente anche il fine. Ovvero, è il "metodo" stesso ad essere un "valore".
Sempre in astratto, secondo te una decisione presa con metodo democratico, per cui si decide (ad es.) di togliere nuovamente il voto alle donne...può essere definita democratica si o no?
la risposta affermativa mi sembra impossibile. Quella negativa (che corrisponde alla mia opinione) mostra, a mio avviso, come la democrazia non sia affatto un valore, ma un metodo e basta.

Pietro Spina ha detto...

la risposta negativa corrisponde (Anche) alla mia opinione, come può vedere dai commenti precedenti: in quanto limita l'applicazione del metodo democratico è una decisione anti-democratica. come fai a dire che conferma la tua opinione e non la mia???

Nazarin ha detto...

Hai ragione, mi sono espresso male.
Più chiaramente: trovo che la decisione in questione sarebbe assolutamente democratica, poichè conseguita con metodo democratico.
Non è possibile sostenere:"una decisione presa con metodo democratico, che non è democratica perchè va contro il metodo democratico".
La confusione a mio avviso è ingenerata da un equivoco: non è affatto vero che democrazia è metodo e fine allo stesso tempo. Usiamo lo stesso termine - "democrazia" - per indicare due cose diverse. 1)Il metodo di decisione a maggioranza 2) un ideale di uguaglianza, pari opportunità, giustizia o come preferiamo chiamarlo. Spesso lo chiamiamo "democrazia", e questo a mio avviso è l'errore.
La democrazia è solo un metodo, nè più nè meno, attraverso il quale possono essere perseguiti obiettivi tendenti all'uguaglianza così come al suo contrario.
Il valore non è la democrazia. Può essere, come già detto, l'uguaglianza, o la giustizia sociale... la democrazia è solo uno dei metodi possibili per conseguire tali mete.
E come tutti i metodi, se non raggiunge l'obiettivo, può essere messo in discussione.