Le undici del mattino e già morivo dal caldo; erano i primi giorni di settembre, di un settembre terribilmente afoso, ed ero in giro già dalle otto passando da un ufficio all’altro del Centro Direzionale di Napoli per consegnare Curricula. Quella giornata l’avevo dedicata in gran parte alle agenzie di lavoro interinale, nella speranza che a qualche azienda potesse interessare un laureato in filosofia con esperienza nel sociale. Ad ogni curriculum consegnato, dovevo affrontare un colloquio con qualche selezionatore del personale. Ad ogni modo, i primi tre, dopo aver attentamente valutato il mio curriculum vitae, lo avevano cestinato, mentre il quarto, dopo il solito esame, aveva cercato di cestinare me.
Era dunque con lo spirito afflitto dalla delusione e con i boxer che mi segavano l’inguine che mi apprestavo a sostenere l’ennesimo colloquio. Lessi ancora il nome dell’agenzia sulla lista che mi ero preparato la sera precedente: “Agenzia superyoung dynamic wonderful work: cerchiamo giovani dinamici, freschi, motivati per un lavoro agile e comodo. Corso di formazione, assunzione garantita, ottimi guadagni”. Qualcosa mi diceva che sarebbe stato un altro buco nell’acqua. Ad ogni modo, pensai, dovevo mostrarmi positivo, e cominciai a ripassare mentalmente tutte le tattiche che avevo imparato per impressionare i selezionatori. Armato di buona volontà e di un affilato pugnale per suicidarmi in caso di un ulteriore fallimento, varcai la soglia dell’ennesimo grattacielo, spinsi il dito sul pulsante dell’ascensore e raggiunsi il dodicesimo piano. Trovai la sede dell’agenzia e bussai con disinvoltura al campanello; una bruna tutta curve con un’abbronzatura perfetta mi aprì elargendomi un sorriso suadente e allungando la mano per salutarmi; strinsi energicamente la mano che mi veniva offerta ricordando che per non fare la figura del rammollito era necessario far sentire il proprio vigore anche attraverso quel semplice saluto. Quando lei emise un piccolo gemito di dolore mi resi conto che stavo esagerando e lasciai la presa; «mi scusi», mi giustificai, con un sorriso appena abbozzato da duro che non riesce a trattenere la propria incontenibile energia, ma dicendo la parola “scusi” lasciai partire un proiettile di saliva che si schiantò violentemente sul suo zigomo sinistro; facemmo entrambi finta di nulla, e mi fece accomodare in una piccola stanzetta che sembrava la sala d’attesa di un dentista. Cominciai a sfogliare distrattamente un’interessantissima rivista dove intervistavano alcuni giovani che “ce l’avevano fatta!” mentre posavano facendo il gesto di Fonzie, quando fui chiamato dalla signorina di prima che nel frattempo si era asciugata la guancia:«prego», disse, e mi indicò una porta alle sue spalle; dietro una scrivania, impegnato a sfogliare il curriculum che avevo consegnato alla segretaria, c’era un giovane più o meno della mia età, elegantemente vestito e con un taglio di capelli ripugnante che, non appena mi vide, si alzò e mi strinse la mano con un’energia tale che stavolta fui io a gemere di dolore; ovviamente per raggiungere una stretta del genere doveva aver passato molto tempo in palestra, oppure a stringere mani, o a masturbarsi, fatto sta che stavolta riuscii ad evitare di sputare e sorridendo come solo un giovane dinamico e vincente può fare mi sedetti di fronte a lui. Il selezionatore riprese tra le mani il mio curriculum e cominciò:«Allora Dario» - esordì, passando improvvisamente al “tu” - «come mai una laurea in filosofia?» - ormai sapevo quale risposta dare a questo tipo di domanda - «mi piacciono le sfide!» - il manichino mi guardò con soddisfazione - «vedo che hai lavorato nel terzo settore, ti piace aiutare gli altri?» - «mi piace vederli soffrire» - scherzai, ma ammiccando leggermente; il selezionatore mi lanciò un’occhiatina complice e proseguì - «parliamo di te; come ti definiresti? Polemico, accomodante, indipendente…» - «accomodante!» - risposi secco - «con tendenza all’ottusità…» - «cosa significa per te avere successo?» - continuò - «preferisci uno stipendio sicuro o un lavoro dinamico?» - «ovviamente un lavoro dinamico, lo stipendio fisso è una tale noia!» - «bene Dario» - concluse - «penso che noi due andremo molto d’accordo. Il colloquio è stato molto positivo, penso che da lunedì potremmo partire con una settimana di prova…» - sembrava fatta, ma a quel punto commisi un errore fatale; mi alzai e, al culmine della felicità, allungai la mano per ringraziarlo. Un errore imperdonabile! Avevo ormai imparato che non bisogna mai dare l’impressione di aver bisogno di un lavoro, ma di accettarlo come una prospettiva interessante; l’esperto osservatore se ne avvide subito e aggrottò la fronte:«come mai tanto entusiasmo?» - chiese - «hai forse bisogno di questo lavoro?» - «no!» - sparai subito - «per me è solo un interessante possibilità» - il manichino mi guardò sospettoso - «la tua reazione sembra confermare i miei dubbi. Ammettilo, Dario, tu hai bisogno di lavorare» - sentii che una goccia di sudore cominciava a scivolarmi lungo la fronte - «le assicuro, a me di questo lavoro non me ne frega niente!» - «tu vuoi lavorare! Vuoi i nostri soldi!» - «no! I soldi mi interessano ancora meno! Le giuro che sono venuto solo per perdere il mio tempo!» - il selezionatore non sembrava convinto - «anzi» - proseguii ormai in un bagno di sudore - «questo lavoro mi fa proprio schifo! Le giuro! Cosa devo fare per dimostrarglielo?» - «lo rifiuti!» - «Allora lo rifiuto! Non voglio questo lavoro». Il manichino sembrò tranquillizzarsi a queste parole - «forse stai dicendo la verità. Vediamo…quanto vorresti guadagnare?» - «non credo spetti al dipendente scegliere quanto guadagnare» - un lieve sorriso mi fece intuire che avevo riacquistato qualche possibilità - «bene, forse ti avevo giudicato male, sei un giovane in gamba!» - ormai ero talmente sudato che il deodorante cominciava a scivolarmi lungo la schiena. Ancora una volta, lo sguardo severo del selezionatore si posò su di me:«agitato? Come mai? Un po’ d’insicurezza? Emozionato forse?» - «chi io? Sono troppo ottuso per emozionarmi!» - «eh, no!» - rispose il dannato - «a me sembra proprio in preda ad una forte emozione» - sentivo che dovevo cavarmela in qualche modo - «forse do questa impressione» - biascicai, cercando di apparire più insulso possibile - «ma le assicuro che io non mi emoziono mai, sono quasi un vegetale!» - «un vegetale eh? Non è un po’ presuntuoso?» - «no! Cioè, forse…non lo so, ma gli amici mi chiamano “barbabietola”!» - «giuri!» - «giuro! A volte anche “sedano”» - forse esagerai un po’, perché mi accorsi dalla sua espressione che l’avevo sparata troppo grossa; per fortuna, riuscii a correggere subito il tiro:«ma i miei amici mi vogliono molto bene!». Ancora una volta sentii di aver recuperato in zona Cesarini. Mi accorsi di avere un aspetto disgustoso specchiandomi nella pozzanghera di sudore che si era formata ai miei piedi; non vedevo l’ora di andarmene, ero al limite della tensione nervosa. Ma il selezionatore doveva sospettare ancora qualcosa, perché non si decideva a lasciarmi andare; continuava a giocherellare con la penna facendola rotolare aritmicamente lungo la scrivania, pensando a una domanda risolutiva, che avrebbe chiarito definitivamente se io fossi adatto o meno a quel lavoro. Maledetto! Non dimenticherò mai quel momento; mi guardò dritto negli occhi e mi chiese con la massima serietà:«Bene Dario. Ho deciso che sei adatto allo scopo; ora abbiamo due possibilità: un posto come segretario, con un contratto a tempo indeterminato e paga sindacale, o un bel contratto di collaborazione coordinata e continuativa, con mansioni di senior - public - sensational operator, con ottime possibilità di carriera… verso cosa sei orientato?». Pensai subito all’ennesimo test, e sapevo anche cosa avrei dovuto rispondere; tuttavia, il suo sorriso rassicurante mi fece pensare che forse era una proposta autentica; e in tal caso, avrei senz’altro optato per la prima ipotesi. Ma se fosse stata una prova? A questo punto non avevo più liquidi in corpo, e cominciai a sudare sangue come in un’apparizione mariana… alla fine presi la mia decisione, rischiare il tutto per tutto: prova o meno, se c’era anche una vaga possibilità di ottenere il posto fisso, io dovevo rischiare: «sarei orientato verso il segretariato…» - «lo sapevo!» - balzò letteralmente dalla sedia - «tu hai bisogno di lavorare!» - quest’ennesima aggressione ebbe il potere di farmi saltare i nervi - «e va bene! Si! Ho bisogno di lavorare, e voglio un cazzo di stipendio!» - «Fuori!» - urlò il manichino rosso dalla rabbia - «Fuori di qui!» - la bellissima ragazza di poco prima si precipitò nella stanza digrignando i denti e mi intimò di imboccare l’uscita. Cercai di guadagnare tempo per dire altre due paroline al manichino, ma la ragazza, cercando di fermarmi, scivolò nella pozzanghera di sudore e sangue; allungai subito la mano per aiutarla, ma lei continuava a fissare quella pozza di liquido informe senza rispondere; quando finalmente si voltò verso di me, con lo sguardo furente, riuscii a biascicare appena un:«mi scusi…». E ancora una volta, mi lasciai sfuggire un proiettile di saliva che stavolta si schiantò sullo zigomo destro della ragazza…
Poco dopo, ero di nuovo in giro per il centro direzionale, un po’ più malconcio e più magro di prima, con i boxer che ormai erano penetrati nella carne, e cercando di attingere ad una nuova carica di ottimismo lessi il nome della prossima agenzia da visitare.
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