Cara Silvana,
con questa lettera spero di riuscire a chiarire una volta per tutte, almeno a te, la reale natura del rapporto di complicità che ha legato, per una breve fase della mia vita, il mio destino a quello del Casuario del Bioparco di Roma.
Si è molto discusso su questo argomento, e in molti, compreso il consulente che avrebbe dovuto assumere la mia difesa, hanno preferito parlare di una mia “schizofrenia”, scegliendo la soluzione più semplice, piuttosto che doversi confrontare con una realtà scomoda per loro. Non nego di aver in parte cavalcato questa situazione, trovando degli innegabili vantaggi nel fatto di passare per folle, ma con te non voglio avere alcun segreto. Ti dirò tutto:
Come sai, nel periodo di cui ti parlo, ero piuttosto infelice. La prolungata disoccupazione mi aveva gettato in uno stato di depressione, in cui non riuscivo più ad individuare una mia “identità”, quella rappresentazione di te stesso che soltanto il lavoro può darti, e che è strumento inalienabile per ottenere quella dignità sociale cui tutti, in modo diverso, aneliamo. Decisi da andare a trovare mio fratello e mia cognata, a Roma, e di passare un po’ di tempo con loro. Ero certo che trovarmi tra persone amiche, che avevano vissuto momenti difficili come me, mi avrebbe aiutato ad essere più sereno. Decidemmo di passare il sabato al Bioparco, che da tempo desideravo visitare.
Non ne rimasi deluso; le tigri, un po’ strette nello spazio a loro attribuito, erano maestose e affascinanti come sempre; le scimmie esilaranti, i licaoni inquietanti, gli orsi buffi e spaventosi allo stesso tempo. Una giornata meravigliosa. In un paio di occasioni, alcuni animali mi si erano avvicinati, nei limiti del possibile, e mia cognata, stupita e divertita dalla situazione, mi paragonò addirittura a San Francesco. Scherzando in questo modo, passammo accanto alla gabbia del Casuario, un uccello di notevoli dimensioni che, a causa delle sue proporzioni, come lo struzzo, non può volare. Sembrava un enorme gallinaceo variopinto. Ad un tratto, un passerotto venne a posarsi su un ramo tra me e la gabbia del Casuario. Mia cognata rise della cosa, e mi paragonò nuovamente al Santo; scherzosamente, allungai il braccio verso l’uccellino, e questi ci saltò sopra, come fosse il suo trespolo. Mio fratello cercò la macchina fotografica per immortalare quel momento curioso, ma il volatile, probabilmente spazientito dalla lentezza dell’operazione, volò via e, incautamente, attraversò la gabbia del Casuario; fu un attimo, e quell’enorme pennuto afferrò al volo il suo più piccolo parente, deglutendolo subito dopo come una nocciolina. Rimanemmo tutti di sasso. Mio fratello e la moglie presero spunto dall’episodio per una discussione sul vero volto della tanto declamata “natura”, ma io notai qualcosa che a loro era sfuggita. Subito dopo aver ingerito il piccolo uccello, il Casuario si voltò verso di me, dapprima guardandomi in tralice, poi fissandomi. Non impiegai molto a capire cosa stava cercando di comunicarmi; mi stava ringraziando, certo, avendo pensato che il mio fosse un omaggio volontario, ma c’era anche qualcosa di più. Mi stava chiedendo una collaborazione, una complicità! Aveva capito che insieme, grazie al mio potere e alla sua rapidità, avremmo potuto essere un’ottima squadra.
La notte non riuscii a prendere sonno. Non avevo nulla da guadagnare da un accordo simile, e non mi sembrava neanche molto etico. Tuttavia, avrei finalmente ottenuto ciò che cercavo: un ruolo! Mi resi conto che dovevo ringraziare il destino se, quel giorno, la mia strada aveva incrociato quella del Casuario, e alla fine presi la mia decisione.
Il giorno successivo tornai al Bioparco, e raggiunsi la gabbia del Casuario. Mi accolse senza particolari entusiasmi, come se fosse stato certo che avrei accettato la sua offerta; non posso negare che fui affascinato dalla personalità di quel meraviglioso uccello. Dopo qualche minuto che mi trovavo lì, un passerotto venne a posarsi vicino a me. Non salì sul mio dito, forse leggendo nel mio sguardo la mia segreta intenzione, e fui costretto a spingerlo deliberatamente verso la gabbia. Fu un attimo, e il Casuario inghiottì il malcapitato volatile. Tornai a casa soddisfatto; avevo fatto bene il mio lavoro, e mi ero guadagnato la stima del Casuario.
La tresca proseguì per diverso tempo, finché le pretese del mio compagno cominciarono a farsi più pressanti. Pretendeva due pasti al giorno, e gli uccelli non gli bastavano più. Topi, piccoli di gatto, persino rettili, il Casuario divorava tutto con incredibile ingordigia. Ma un giorno mi resi conto che il nostro sodalizio doveva interrompersi. Come al solito ero appoggiato alla ringhiera vicino la sua gabbia, in attesa di una preda da sacrificare, quando una coppia di giovani sposi si accostò a noi. La donna spingeva un carrozzino, con un bambino che poteva avere al massimo un paio di anni. - «guarda!» - disse la donna, rivolgendosi al pargolo - «uno struzzo!». Mi voltai divertito verso il Casuario, per condividere con lui la comicità della situazione, ma quando incrociai il suo sguardo rimasi pietrificato. Con gli occhi iniettati di sangue, cercava di impormi la sua personalità, come per dominarmi prima di una richiesta che, doveva averlo immaginato, avrebbe prodotto in me delle forti resistenze. Cos’era che voleva davvero? Nutrirsi delle tenere carni di un bambino umano, o soltanto ottenere da me una prova di fedeltà superiore, come Dio che chiede ad Abramo di sacrificare Isacco? Avrebbe fermato la mia mano all’ultimo istante? Non lo saprò mai, perché trovai la forza di resistergli, di rifiutarmi. Il Casuario rimase allibito, io stesso non potevo credere di essere davvero riuscito a svincolarmi dalla morsa di quella personalità dispotica e totalizzante, e in un attimo mi resi conto di fin dove mi ero spinto per assecondare quell’uccello scellerato. Corsi via coprendomi il volto con le mani per la vergogna; umiliato, si, ma deciso a fare giustizia, pronto a denunciare il Casuario, assumendomi tutte le responsabilità del caso.
Tuttavia, il Casuario deve essere riuscito ad abbindolare gli inquirenti con qualche menzogna, poiché, dal momento della mia confessione, non ho trovato un momento di pace, e sembra quasi che l’unico responsabile di tutto quanto sia avvenuto sia soltanto io. Capisci? Come se la responsabilità fosse solo mia! Comunque non disperare, sono certo che riuscirò, prima o poi, a far venire a galla la verità. Tuo affezionato
Dario
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1 commento:
Allievo di Kafka eh?
Bbravo Nazarin!
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