Il presente scritto vuole essere un contributo allo studio e all’approfondimento teorico della disciplina o tecnica terapeutica oggi nota come Rebt (Rational Emotive Behavior Therapy), ovvero la tipologia di terapia ideata e sviluppata nei suoi principi fondamentali dal Dott. Albert Ellis[1]. Gli elementi distintivi e di maggior interesse in questo approccio sono fondamentalmente due:
1. L’importanza delle verbalizzazioni, ovvero di ciò che diciamo a noi stessi, ai fini della nostra condotta di vita e della nostra stessa felicità
Ellis sostiene che qualunque evento negativo abbia caratterizzato, o addirittura traumatizzato la nostra vita, se continua a tormentarci anche quando l’evento si è consumato, è in virtù di una nostra verbalizzazione interiore. Attraverso questa verbalizzazione, noi consentiamo all’evento negativo di continuare a produrre i suoi effetti nefasti sulla nostra personalità. Proviamo a portare un esempio:
Luigi è un bambino di 13 anni, e frequenta la terza media. E’ sempre stato uno dei primi della classe, sin dalle elementari. Tuttavia, quel giorno l’insegnante di matematica ha deciso di fare un compito in classe a sorpresa. Luigi non è preparato e rischia di prendere il suo primo brutto voto, proprio l’anno in cui ci sono gli esami di terza media. La sua compagna di banco Sara, invece, sembra molto spedita nello svolgere le complesse operazioni algebriche. Luigi decide che la cosa migliore da fare, al momento, è cercare di copiare. Ma non essendo pratico, viene facilmente scoperto dalla professoressa. Questa strappa il compito dalle sue mani, obbligandolo in questo modo a consegnare praticamente in bianco. Inoltre, l’insegnante non manca di esprimergli tutta la sua delusione e il suo sdegno, davanti a tutta la classe. Luigi trova la situazione insopportabile, non ha il coraggio di alzare lo sguardo dal banco per non incontrare gli occhi della professoressa e dei suoi compagni. L’evento è per lui talmente significativo, che ne porterà i segni fino in età adulta, sotto forma di una certa insicurezza o disagio quando è a rischio di disapprovazione.
Cosa è successo a Luigi? L’emozione da cui è stato travolto quel giorno in classe è vergogna, imbarazzo, più semplicemente paura, timore di scontrarsi con la disapprovazione degli altri. Ma cosa ha permesso a questo malessere di continuare ad essere presente nella vita di Luigi, al punto di condizionarlo anche in età adulta? Secondo i principi della Rebt, la causa è da cercare in ciò che Luigi ha detto a se stesso in quel momento, strutturando il pensiero nella forma di una massima e inserendola nella propria filosofia di vita.
Probabilmente Luigi nel momento della vergogna si è parlato in questo modo:”tutti mi stanno disapprovando; è una sensazione orribile, insopportabile, e non voglio doverla provare mai più!”. Quando ci accade un evento spiacevole, se lo “registriamo” in maniera irrazionale, è come se contraessimo una malattia. Per fortuna è tutt’altro che impossibile guarirne. Luigi ha contratto questo morbo, poiché ogni qualvolta si trova a dover affrontare una disapprovazione, vive la cosa come “orribile e insopportabile”; ma, peggio ancora, è preda di notevoli ansie quando semplicemente rischia la disapprovazione, diventando così inibito e insicuro.
Per riconoscere le nostre verbalizzazioni negative, è particolarmente efficace lo schema A-B-C, introdotto sempre da Ellis. A sta ad indicare l’evento attivante, C il sintomo, l’effetto. B è l’elemento che congiunge A e C, ovvero la verbalizzazione. Lasciamo in pace Luigi e facciamo un altro esempio:
Antonello ha un’avventura con Elisabetta, una bella ragazza che frequenta la sua stessa comitiva. Le cose però non vanno bene, poiché quella sera Antonello, forse perché particolarmente stanco o emozionato, non riesce ad avere un’erezione. Antonello è turbato, ma sa che si tratta di un episodio isolato, per cui non fa drammi e decide di uscire ancora con Elisabetta. Ma Elisabetta si confida con le amiche, che maliziosamente fanno arrivare la voce ai ragazzi. Antonello diventa così oggetto di doppi sensi e allusioni; lui si mostra sicuro e sta allo scherzo, ma in realtà è disperato, al punto di arrivare a pensare al suicidio.
Questo piccolo racconto ci offre lo spunto per evidenziare, attraverso lo schema A-B-C, un esempio di verbalizzazione irrazionale e uno di verbalizzazione razionale. Nel primo caso:
A: evento attivante = prese in giro degli amici sulla sua scarsa virilità
C: sintomo = disperazione, desiderio di farla finita
Bi: verbalizzazione irrazionale = “i miei amici mi considerano un impotente; questa è una cosa assolutamente insopportabile, non è possibile vivere in questo modo!”
Bi rappresenta dunque la verbalizzazione irrazionale. L’importanza che Antonello dà all’opinione dei propri amici, almeno riguardo il tema mascolinità, è tale da far si che l’evento A possa provocare C. Per molte altre persone, A non avrebbe potuto mai provocare C. Ma andiamo avanti, perché come ho detto il racconto precedente offre ad Antonello l’opportunità di mostrare anche una forma di pensiero più razionale:
A: evento attivante = Defaiance con Elisabetta
C: sintomo = dispiacere, leggero turbamento
Br: verbalizzazione razionale = il fatto che abbia avuto un problema con Elisabetta, non fa di me un impotente. Uscendo ancora con lei, sarà evidente che si è trattato di un episodio isolato.
In questo secondo caso, Antonello si mostra molto razionale ed equilibrato; infatti il sintomo è quello appropriato, ovvero un normale dispiacere. La ragione per cui in un caso Antonello riesce ad essere così razionale, e in un altro invece esattamente l’opposto, è probabilmente da cercare nell’importanza che egli conferisce all’opinione degli amici, e quindi in un’ulteriore verbalizzazione.
Mario Di Pietro nell’edizione italiana del testo di Ellis L’Autoterapia Razionale Emotiva[2], evidenzia come le più frequenti idee irrazionali possano essere sottese al concetto di Doverizzazione. Di Pietro sintetizza così:
Doverizzazioni su se stessi («Io devo agire bene ed essere approvato da tutte le persone per me significative, altrimenti sono un assoluto incapace ed è terribile»).
Doverizzazioni sugli altri («Gli altri devono trattarmi bene e agire come io penso che debbano assolutamente agire, altrimenti sono delle carogne, dei mascalzoni e meritano di pagarla»).
Doverizzazioni sulle condizioni di vita («Le cose che mi succedono devono essere proprio come io pretendo che siano e tutto deve essere facile e gradevole, altrimenti la vita è insopportabile»).
Il modo di lavorare sulle verbalizzazioni sarà illustrato al punto 2. Prima però vorrei sottolineare un altro aspetto importante della Rebt che si può evincere dal punto 1. L’importanza che questa disciplina attribuisce al pensiero e alla riflessione filosofica. Già nei suoi presupposti fondamentali infatti la Rebt rimanda al pensiero dello stoico Epitteto, per cui non sono le cose in sé ad essere dannose o proficue per noi, ma il modo in cui le percepiamo[3]. Al di là del merito, è notevole il ruolo che la riflessione filosofica assume non soltanto nel corpo teorico, ma nella stessa pratica terapeutica della Rebt. E’ interessante in questo senso evidenziare l’attenzione di cui è stata oggetto la riflessione filosofica nelle ultime decadi all’interno del dibattito terapeutico. In particolare vogliamo riferirci al counselling filosofico e alla cultura dell’intervento non prettamente-curativo che, a partire dalla riflessione di Achenbach[4], ha assunto proporzioni interessanti anche in Italia, in special modo per il lavoro e l’opera di Umberto Galimberti.
Il counselling (o counseling) filosofico è una relazione d’aiuto in cui, attraverso gli strumenti del dibattito filosofico, attivando le risorse del consultante stesso, si propone di facilitare e stimolare i processi riflessivi e di chiarificazione. La definizione è necessariamente generica e suscettibile di diversa declinazione, a seconda della scuola di pensiero cui afferisce. Tuttavia, nucleo centrale è la problematizzazione, piuttosto che risoluzione, dei propri vissuti emotivi e cognitivi.
Il corpo dottrinale della Rebt fornisce al counsellor filosofico una serie di tecniche e strumenti culturali di indubbia efficacia terapeutica, e sarebbe utile ed interessante, ad avviso di chi scrive, l’apertura di una riflessione su questo tema.
Chiusa questa parentesi, presentiamo il punto 2, ovvero il secondo elemento di particolare interesse nella Rebt:
2. L’importanza data al ruolo del “cliente” nel processo terapeutico.
Naturalmente non esiste metodo terapeutico che possa prescindere dal paziente; nella Rebt, però, il ruolo del cliente è assolutamente attivo. Anzi, in ultima analisi la Rebt è un metodo che, una volta appresi i suoi concetti fondamentali, può anche essere riproposto autonomamente in diverse situazioni. Questo non vuole assolutamente dire che si possa prescindere dalla figura del terapeuta, ma soltanto sottolineare il notevole protagonismo del cliente in un intervento di Rebt.
In pratica, il metodo della Rebt può essere così illustrato:
· Acquisizione di una serie di insight da parte del cliente
· Ricerca delle verbalizzazione irrazionali attraverso il sistema A-B-C e riformulazione razionale attraverso il disputing
· Esercizi di natura “comportamentale” per insegnarci quanto appreso attraverso il disputing e la discussione delle nostre verbalizzazioni. Questo perché la Rebt non è razionalista, e dunque non sostiene l’autosufficienza della ragione nel produrre un cambiamento, bensì la necessità di pratiche ed esercitazioni costanti
L’insight indica una consapevolezza, un nosce te ipsum. Si tratta di una serie di acquisizioni da parte del cliente, necessarie per sviluppare un efficace pratica terapeutica. Ellis, nel suo testo Autoterapia Razionale Emotiva, indica 12 diversi insight:
Quando i vostri obiettivi e desideri sono frustrati voi create sentimenti sia appropriati sia inappropriati
Siete soprattutto (anche se non del tutto) voi a creare i vostri pensieri e le vostre emozioni disturbate: e di conseguenza siete voi ad avere il potere di controllarli e modificarli. A condizione però che accettiate questa intuizione e vi sforziate di metterla in pratica
Voi vi rendete inutilmente e nevroticamente infelici a causa della vostra adesione a convinzioni assolute e irrazionali, e, soprattutto, a causa della vostra convinta accettazione di doverizzazioni incondizionate
Le cause originarie dei vostri disturbi emozionali non vanno cercate nelle esperienze della vostra prima infanzia o nei condizionamenti esercitati dal passato: vanno ricercate in voi stessi
Siate consapevoli del fatto che sono le vostre doverizzazioni irrazionali a crearvi turbamento. La sola constatazione di avere queste doverizzazioni non vi aiuta però a farle scomparire. Cercate di combatterle nei molti modi che la Rebt vi fornisce, ma soprattutto sfidandole e mettendole continuamente in discussione
Una volta che vi siate lasciati abbattere da qualche cosa, è facile che tendiate a sentirvi depressi riguardo al vostro abbattimento. Se prestate attenzione a quel che fate, vi accorgerete che state provando ansia per la vostra ansia, depressione per la vostra depressione, e che vi sentite colpevoli per la collera che vi opprime. Possedete un vero e proprio talento per rendervi la vita difficile!
Quando tentate di risolvere i vostri problemi pratici di vita, cercate accuratamente di scoprire se avete qualche problema emozionale – come sentimenti di ansia o depressione – inerente a queste questioni pratiche. Se è così, individuate e contestate attivamente il vostro pensiero dogmatico e doverizzatore che dà vita alle vostre difficoltà emozionali. Mentre vi applicate a ridurre i vostri sentimenti nevrotici, tornate alle vostre difficoltà pratiche e affrontatele ricorrendo a un’efficace autogestione e ai metodi consueti per la soluzione di problemi.
Potete cambiare le convinzioni irrazionali agendo contro di esse: vale a dire, ponendo in essere comportamenti che le contraddicono
Non importa con quanta chiarezza vi rendiate conto che vi lasciate sconvolgere e abbattere senza ragione, se non prendete atto che sarà difficilissimo che miglioriate senza un’applicazione e un esercizio costanti – sì, un notevole lavoro e una incessante messa in pratica – con cui cercherete di cambiare attivamente le vostre convinzioni disturbanti agendo vigorosamente (e spesso con disagio) contro di esse
Se cercate di confutare con moderazione le vostre convinzioni irrazionali, può darsi che non riusciate a cambiarle. Perciò, è meglio che combattiate con forza e costanza contro di esse e per convincervi che sono false.
Può darsi che per un certo periodo vi riesca facile modificare i vostri sentimenti. Fareste meglio tuttavia ad applicarvi e applicarvi per riuscire a mantenere le acquisizioni fatte
Quando riuscite a far migliorare i vostri disturbi emozionali, sarà un miracolo se non avrete ricadute. Quando questo vi succede, ricominciate daccapo con la RET. Provate e riprovate!
Come già esposto, Mario Di Pietro, nell’edizione italiana del testo di Ellis L’Autoterapia Razionale Emotiva, illustra come le più frequenti idee irrazionali possano essere sottese al concetto di Doverizzazione. Riproponiamo, ai fini di una maggiore chiarezza espositiva, i diversi tipi di doverizzazioni così come descritti da Di Pietro:
· Doverizzazioni su se stessi
· Doverizzazioni sugli altri
· Doverizzazioni sulle condizioni di vita
Ma cosa sono le doverizzazioni? Perché sono così presenti e influenti nel nostro modo di ragionare tanto da essere fonte per noi di ansie, depressioni ecc?
La doverizzazione altro non è che la trasposizione di un principio di necessità. “Io devo agire bene” è in realtà “E’ necessario che io agisca bene”; “Le cose devono andare in un certo modo” va letto come “è necessario che le cose vadano in un certo modo”. Non è una specificazione da poco. Le idee irrazionali trovano linfa e si stratificano nel nostro sistema di convinzioni proprio perché prendono la forma di assiomi. Tutte le nostre convinzioni si fondano su assiomi, da cui derivano corollari di varia natura. Quello che ci interessa stabilire è che le idee irrazionali si manifestano e traggono la loro forza persuasiva dall’essere assimilate come leggi, in particolare leggi di necessità.
In logica si parla di implicazione materiale. Ovvero, la forma: se…allora…( Se piove, allora la terra si bagnerà)
Anche le nostre doverizzazioni irrazionali hanno questa struttura. Se x allora y. Pur e non esplicitamente presente nella verbalizzazione, le doverizzazioni hanno un loro fondamento, la giustificazione razionale per cui da essa, per implicazione materiale, si perviene a y, ovvero la doverizzazione.
Le doverizzazioni possono dunque essere spiegate come delle implicazioni materiali infondate, o meglio fondate su un elemento di volontà. La doverizzazione “Le cose devono andare come io pretendo che siano” è dunque:”siccome pretendo che le cose vadano in un certo modo, allora devono andare proprio in quel modo”. Ancora più precisamente, nell’assumere forma assiomatica:”se io voglio che le cose vadano in un certo modo, allora devono andare in quel modo”.
Proponiamo in forma logica l’espressione:
«Le cose che mi succedono devono essere proprio come io pretendo che siano e tutto deve essere facile e gradevole, altrimenti la vita è insopportabile».
Riformulata in:
«Se voglio/desidero che le cose vadano in un certo modo, allora devono andare in quel modo, altrimenti la vita è insopportabile»
L’ultima espressione (“la vita è insopportabile”) rappresenta un altro errore nel trasformare un proprio vissuto in un assioma. Ma andiamo a simbolizzare:
CNCpqr
Nella simbologia di Ukasievick.
Ovvero:”Se non si da il caso che p implichi q, allora r”
Dove: p=voglio che le cose vadano in un certo modo; q=le cose vanno in un certo modo; r=la vita è insopportabile
Lo formula è corretta da un punto di vista logico. Dando per buono che r sia davvero una conseguenza necessaria del fatto che p non implichi q, allora il risultato sarà sempre e inevitabilmente r, poiché p non implica mai q.
La pretesa di far derivare qualcosa che riguardi il mondo esterno (ma anche noi stessi!) dalla nostra semplice volontà, dal nostro desiderio, è un modo di pensare puerile in senso stretto, poiché riproduce l’attitudine dei bambini a considerare il mondo esterno come un prolungamento della propria volontà. Le frustrazioni a cui vanno incontro negli anni servono a formare il principio di realtà.
Dunque, riassumendo, questa tipologia di verbalizzazione irrazionale (doverizzazione) è un ragionamento della forma dell’implicazione materiale, per cui un desiderio dovrebbe comportare una condizione oggettiva, pena uno stato di malessere.
Questa analisi non vuole aggiungere molto, dal punto di vista prettamente terapeutico, a quanto già ampiamente illustrato da Albert Ellis e dal suo rappresentante in Italia Cesare de Silvestri[5]. Tuttavia il metodo della Rebt prevede come elemento terapeutico l’acquisizione da parte del paziente di una serie di insight, utili a padroneggiare il sistema noto come A-B-C e ad essere dunque terapeuti di se stessi. Una riflessione sulla natura delle idee/verbalizzazioni irrazionali può essere utile ai fini di una maggiore consapevolezza di esse, che poi è il primo passo per il loro superamento. Questo avviene attraverso una riformulazione dell’idea in una forma razionale, e una serie di tecniche di comportamento che servono ad “insegnare” a noi stessi questa nuova verità. Il modo in cui riformulare le varie doverizzazioni è stato ampiamente ed esaurientemente esposto da Ellis.
Ovviamente i desideri non possono mai essere legati alla loro realizzazione mediante un rapporto di causa-effetto, un legame “necessario”. Anche considerare il malessere come conseguenza inevitabile, “necessaria” della mancata realizzazione del proprio desiderio, è un atto arbitrario, che nulla ha a che fare con la logica. Convincendosi di questo, si può cominciare a lavorare per sostituire la verbalizzazione irrazionale.
“Se non riuscirò a superare brillantemente l’esame, avrò dimostrato di essere un buono a nulla, e per me ciò sarà insopportabile”
Significa in realtà:
“Siccome non voglio passare per un buono a nulla, devo superare brillantemente l’esame. Se non vi riuscirò, non potrò sopportarlo”
Formulata correttamente è:
“Siccome non voglio passare per un buono a nulla, desidero superare brillantemente l’esame. Se non vi riuscirò, sarà molto dura”
Sono intervenuto sulla verbalizzazione in due modi diversi; nel primo caso, ho sostituito la doverizzazione con un atto di volontà, e non più di necessità oggettiva. Nel secondo caso, la forma di “implicazione materiale” è intatta, ma è il suo contenuto ad essere modificato. Non è vero infatti che sarà insopportabile, ma solo molto duro da sopportare.
E’ inoltre possibile affrontare il problema anche da un altro punto di vista, ovvero individuando il marco-problema che ne è alla base. Abbiamo individuato una caratteristica comune nelle doverizzazioni che hanno come presupposto desideri o aspettative personali, ovvero l’incongruità logica. Un’incongruità in virtù della quale vengono elaborate delle inferenze per cui dalla propria volontà dovrebbero scaturire come conseguenze logiche gli effetti desiderati. Abbiamo constatato la puerilità di questo genere di implicazioni materiali; il macro-problema può dunque essere individuato come pensiero infantile. Accanto al lavoro sulle singole verbalizzazione irrazionali, è dunque ipotizzabile un lavoro terapeutico che intervenga direttamente su questo aspetto, terreno di coltura di pensieri illogici e autodistruttivi. Lavorare dunque sull’origine stessa delle nostre verbalizzazione irrazionali, acquisendo un ulteriore insight, ovvero la consapevolezza della nostra attitudine al pensiero puerile.
Quello che io considero il secondo tipo di verbalizzazione irrazionale è quella forma di implicazione in cui a fondamento non vi è più una ragione individuale, ma trascendente, ovvero che va oltre l’individuo stesso. Si tratta delle proposizioni di natura etica, religiosa, metafisica.
“E’ giusto essere sempre corretti con gli altri; se non mi comporto correttamente, allora sono una persona indegna”.
Come si interviene in questo genere di verbalizzazioni? La forma logica è del tutto corretta, come nel primo caso, se si accetta la premessa. Ma mentre nel primo tipo di doverizzazione è molto facile mettere in discussione il fatto che le premesse (desideri) debbano portare a stati di cose oggettivi, in questo secondo caso è molto più complesso. Questo perché le proposizioni di questo tipo, se ammesse, determinano per definizione le proprie conseguenze. Si tratta dunque di mettere in discussione la natura stessa delle convinzioni metafisiche del soggetto. Ma come è possibile? La ricetta di Ellis in questo caso sembra un po’ sbrigativa. Convincersi che una convinzione morale sia dannosa per sé non implica infatti il fatto di doversene separare. Un cattolico convinto che ritenga di dover praticare l’astinenza, pur di fronte alla verità del suo soffrire per questa privazione, non muterà il suo atteggiamento. Questo proprio in virtù della natura delle proposizioni metafisiche, che trascendono l’individuo e dunque anche le sue ragioni.
Se la ricetta di Ellis non è del tutto convincente, tuttavia, è davvero difficile offrire in questo senso dei suggerimenti. Attraverso un buon disputing è possibile aiutare il cliente a prendere più consapevolezza delle sue stesse convinzioni di quanta ne avesse prima di metterle in discussione. Detto questo, se il cliente vuole restare attaccato alla sua metafisica, non è possibile intervenire. Aderire ad un principio trascendente è infatti un atto di volontà, e può essere sostituito soltanto da un altro atto di volontà. Paradossalmente, è così: errore diffuso è credere di poter smontare grandi fedi o ideali con argomenti razionali. Ovvero armi del tutto inutili per combattere una scelta, una volontà. Questo è un insight per i terapeuti:”aderire a fedi, ideali o principi che non hanno un fondamento razionale, è un atto di volontà, e può essere sostituito soltanto da un altro atto di volontà”.
E tuttavia, nel momento in cui un cliente si reca da un terapeuta, a causa di un malessere conseguenza della sua filosofia di vita, ha già compiuto un atto di volontà.
Il primo passo dunque è sostenere la riflessione del cliente, rendendo auto-evidente la causalità che lega le sue convinzioni ai sintomi in esame. Potrebbe tuttavia essere anche l’ultimo passo, poiché per il terapeuta si pone anche una problematica di natura etica: è giusto intervenire sulle convinzioni morali/ideologiche del paziente? Non si può eludere il problema imputando semplicemente la responsabilità al cliente che, chiedendo de facto un aiuto al terapeuta, lo ha in qualche modo legittimato a intervenire sulle cause dei suoi disagi. E’ altresì vero che, se solo un atto di volontà può sostituirne un altro, il terapista non può in effetti essere artefice di un simile cambiamento nel suo utente, ma sarà sempre quest’ultimo che, individuando col supporto della terapia la causa del proprio patire, decide di intervenire.
E’ una questione complessa, che tuttavia non è possibile eludere. Personalmente ritengo che, in questo genere di problematiche, l’intervento terapeutico possa e debba esaurirsi nel disputing, nell’accompagnamento del cliente nell’esplorazione dei propri vissuti cognitivi ed emotivi. Si può anche sostenerne la volontà, ma non indirizzarla o, peggio ancora, forzarla. Esiste il diritto alla scelta e, verosimilmente, anche alla scelta di star male.
La Rebt consiste in corpo teorico e una serie di tecniche di notevole efficacia terapeutica. Non è tuttavia un sistema filosofico, essendo fondamentalmente avulsa da elementi valoriali. Non può dunque sostituire i suoi assiomi a quelli di una dottrina morale o ideologica. In questo senso, come la logica, è formale.
Scienze del Pensiero e del Comportamento, 2007
[1] Ellis A., Ragione ed Emozione in Psicoterapia, a cura di C. De Silvestri, Astrolabio Ubaldini, 1989
[2] Ellis A., L’autoterapia razionale emotiva, a cura di M. Di Pietro, Centro Studi Erickson, 1993
[3] Epitteto, Manuale
[4] Achenbach Gerd B., La consulenza filosofica, Apogeo, 2004
[5] De Silvestri C., I fondamenti teorici e clinici della terapia razionale emotiva, Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1981
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